I ricercatori della Aarhus University, in Danimarca, hanno effettuato uno studio sulla estinzione di massa dei grandi mammiferi che avvenne nel Pleistocene su scala mondiale nel corso degli ultimi 100mila anni, giungendo alla conclusione che la causa non fu tanto il clima, come si era perlopiù ritenuto, quanto l’arrivo degli esseri umani.
Per quasi 50 anni gli scienziati hanno dibattuto la questione della scomparsa della megafauna durante e immediatamente dopo l’ultima era glaciale.
Due ipotesi erano sul tavolo. La prima indicava come responsabili i cambiamenti climatici i cui effetti sulle faune si sarebbero fatti sentire particolarmente con l’ultima éra glaciale, quando con l’avanzamento dei ghiacciai, i grandi animali vennero spinti verso Sud e a causa della riduzione dell’habitat e lo scarseggiare delle risorse alimentari, andarono inevitabilmente incontro all’estinzione.
A questa ipotesi è stato obiettato che non esistono prove che durante gli eventi glaciali precedenti, quantunque non meno rigidi dell’ultimo, si siano verificate perdite così radicali nella biosfera terrestre.
C’è da considerare poi che l’estinzione dei grandi animali interessò quasi tutte le zone climatiche, investendo sia specie adattate al freddo, come i mammut, sia specie tropicali, come il bufalo e i bradipi giganti, e coinvolgendo praticamente tutti i continenti. Dal Nord America, ad esempio, sparirono completamente cavalli indigeni e cammelli, dall’Australia canguri e leoni marsupiali.
In Europa e in Asia l’estinzione spazzò via tigri dai denti a sciabola, elefanti, rinoceronti e cervi giganti.
Nello studio, i ricercatori hanno cercato di individuare in quel periodo che va dai 130mila ai 1000 anni fa, la distribuzione degli animali con peso corporeo superiore ai 10 chilogrammi, riuscendo a stabilire che delle 177 specie scomparse, sicuramente 18 sarebbero andate perdute in Africa, 19 in Europa, 38 in Asia, 26 in Australia, 43 nel continente americano.
I risultati mostrano che una correlazione tra cambiamenti climatici e perdita della megafauna è debole e potrebbe semmai essere ristretta all’Europa e all’Asia.Le relazioni sono invece più evidenti tra estinzione animale e storia dell’espansione umana.
La seconda ipotesi pone infatti sul banco degli imputati gli esseri umani.
Negli ultimi 100mila anni, si era infatti verificata un’ingente emigrazione dall’Africa verso gli altri continenti di diverse specie di ominidi, e l’impatto non poteva essere stato privo di conseguenze, in particolare nella ricerca di risorse alimentari, individuando le prede nei giganteschi mammiferi eurasiatici.
Nell’estinzione dei grandi mammiferi, peraltro, è stata riconosciuta una cronologia che segue passo passo i movimenti dei nostri antenati.
Le prime ad essere decimate furono infatti le megafaune africane, 1,7 milioni di anni fa, con particolare riguardo per le tartarughe giganti, in contemporanea con la comparsa dei primi rappresentanti del genere Homo. Due picchi di estinzione si ripeterono quindi sul continente africano, rispettivamente 500mila e 12mila anni fa, in corrispondenza dei grandi spostamenti migratori.
In Asia meridionale ed in Europa la prima estinzione di grandi mammiferi si ebbe 1,4 milioni di anni fa, seguita anche qui da altri due picchi, uno verso i 60mila, dopo l’arrivo dell’uomo anatomicamente moderno e ancora verso i 12mila anni fa.
In Australia si riconosce una estinzione 50mila anni fa, mentre sul continente americano si giunge agli 11mila anni fa.
Che si tratti di semplici combinazioni? Gli scienziati non sono di questo avviso. “Abbiamo trovato alti tassi di estinzione in aree in cui non vi era stato alcun contatto tra animali e razze umane primitive, fin quando non giunse l’uomo moderno (Homo sapiens). In genere, il 30 per cento delle specie dei grandi animali fu allora che scomparve da queste aree”, sostiene il professor Jean-Christian Svenning, dell’Aarhus University.