Grazie alla Michael J.Fox Foundation, ma soprattutto agli studi di un team internazionale di ricerca a guida italiana, si è giunti ad una probabile svolta nella lotta al morbo di Parkinson.
L’indimenticabile attore della popolare serie cinematografica Ritorno al futuro, colpito anni fa da questa devastante patologia, ha finanziato la ricerca che il gruppo internazionale di scienziati ha brillantemente portato avanti per due anni, individuando una proteina che può bloccare questa debilitante, quanto diffusa, patologia neurovegetativa.
Il team di ricercatori, che agli studiosi del Dipartimento di Medicina molecolare e traslazionale dell’Università di Brescia ha visto affiancati illustri colleghi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’ Università di Padova e dell’Università di Lund, in Svezia, ha infatti scoperto che l’assenza di una proteina, la Sinapsina 3 nel nostro encefalo impedisce l’accumulo delle fibrille che uccidono i neuroni produttori di dopamina (dopaminergici), la cui morte determina le difficoltà motorie e gli spasmi che sono la caratteristica più evidente della malattia.
Coordinatrice della ricerca è stata la professoressa Arianna Bellucci, ricercatrice e docente presso il Dipartimento di Farmacologia dell’ateneo bresciano.
Non si tratterebbe di una semplice cura, quindi, ma di un vero attacco al cuore del problema, una soluzione che mira a intervenire sulla causa primaria dell’insorgenza del disturbo.
Il ruolo della Sinapsina 3 è stato messo in luce dall’insolito accumulo riscontrato dai ricercatori nei pazienti affetti dal Parkinson.
Il team ha iniziato con la sperimentazione su cavie geneticamente modificate, rese incapaci di produrre, mediante una semplice iniezione, la proteina in questione.
I risultati, pubblicati sulla rivista Acta Neuropathologica, hanno mostrato nei modelli trattati l’assenza dell’accumulo dei frammenti proteici (o fibrille di alfa-sinucleina), che poi sarebbero i responsabili della morte dei neuroni dopaminergici, in una zona nevralgica del cervello, il sistema nigrostriatale, un circuito cerebrale che è alla base dei movimenti volontari del corpo.
Gli studiosi hanno sottolineato che intervenire modulando questa proteina rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione terapeutica, che andrebbe a curare il ‘disordine neurovegetativo‘ indotto dal Parkinson.
Il risultato di questo studio è, al momento, il brillante atto finale della lotta al Parkinson che in questi ultimi tempi aveva già raggiunto traguardi promettenti.
Basti citare la possibilità di eliminare i tremori in gran parte dei pazienti con l’uso di macchinari come la MrgFUS (Magnetic Resonance guided Focused Ultrasound), progettato in Israele e sperimentato per la prima volta in Italia il 14 febbraio scorso.
O citare lo studio del legame tra la flora batterica intestinale e il Parkinson, scoperto di recente dall’Università dell’Alabama, o il test per la diagnosi della malattia attraverso l’esame del liquido lacrimale, messo a punto dai ricercatori della Keck School of Medicine dell’Università della Southern California di Los Angeles.