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50 milioni di anni fa le palme crescevano ai Poli

Scritto da Leonardo Debbia il 02.10.2022

Per decenni David Greenwood, un paleobotanico australiano, ha raccolto piante fossili talmente ben conservate da esser difficilmente valutabili come antiche di milioni di anni.

Questi fossili vegetali hanno messo a disposizione un corredo dettagliato di campioni con cui poter risalire alle condizioni ambientali in cui erano prosperati.

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Partendo da queste premesse, un team di studiosi, cui si sono uniti anche lo specialista in modellazioni climatiche David Hutchinson, dell’Università del New South Wales e il paleobotanico Tammo Reichgelt, del Dipartimento di Geoscienze dell’Università del Connecticut, ha potuto così esaminare a fondo una gran quantità di paleo-vegetali per trarne quante più indicazioni ambientali possibili.

I risultati dello studio sono stati poi pubblicati sulla rivista Paleoceanography & Paleoclimatology.

L’età dei fossili è stata stimata tra i 55 e i 40 milioni di anni, attribuibili quindi al periodo dell’ Eocene, quando le temperature, rispetto ad oggi, erano assai più calde e il clima più umido, condizioni essenziali ‘da serra’, che avrebbero consentito, stando alle premesse, la presenza di palme ai Poli Nord e Sud della Terra e coperture vegetali estremamente rigogliose su tutti i continenti.

Dalla distribuzione dei fossili di queste piante sulla Terra nell’Eocene si poteva quindi risalire alla ricostruzione degli ambienti di quel tempo.

Concentrandosi sulla morfologia e sulle caratteristiche tassonomiche di 12 specie diverse di fiori, i ricercatori hanno perciò sviluppato una visione più dettagliata del clima e della produttività in quei paleo-ambienti, partendo da semplici osservazioni delle forme.

Reichgelt spiega che il metodo morfologico si basa sul fatto che le foglie delle angiosperme (piante da fiore) in genere mettono in atto una strategia di risposta alla variazione climatica.

“Se una pianta a foglie larghe rimane troppo esposta al sole ed ha scarsa acqua a disposizione, muore a causa dell’eccessiva evaporazione”, dice Reichgelt. “Una foglia larga fossile rivela pertanto che l’ ambiente in cui ha vissuto la pianta non era né troppo freddo nè troppo secco e quindi la pianta non era sottoposta ad eccessiva evaporazione”.

“Così, rinvenire foglie fossili di faggio e acero (latifoglie) è indicativo di un clima più caldo rispetto a quello che rivelerebbero foglie fossili di abete.

Queste preferenze climatiche possono quindi a ragione essere utilizzate per ricostruire quantitativamente e qualitativamente un paleo-clima.

In conclusione, i risultati delle ricerche hanno mostrato che il clima in Australia durante l’Eocene era molto diverso dal clima attuale.

Per avere una vegetazione lussureggiante, le terre dovevano necessariamente ricevere precipitazioni abbondanti e costanti, condizioni che sarebbero state in sintonia con livelli più elevati di anidride carbonica atmosferica (da 1500 a 2000 parti per milione) che avrebbero, a loro volta, favorito il processo di fertilizzazione del carbonio.

“L’Australia meridionale doveva essere in gran parte boscosa, con una produttività primaria simile alle foreste dell’attuale New England”, asserisce Reichgelt. “Negli emisferi Nord e Sud di oggi è certamente l’emisfero settentrionale a produrre più anidride carbonica e quindi a favorire un clima australe secco, situazione che era invertita durante l”Eocene, allorchè la grande massa continentale si trovava tra i 40 e i 60 gradi di latitudine”.

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