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Che aspetto avrà la Terra tra 200 milioni di anni?

Scritto da Leonardo Debbia il 03.12.2022

Che la crosta terrestre sia formata da placche (o zolle), che si spostano lentamente sul mantello fluido, scontrandosi tra loro o allontanandosi una dall’altra, è ormai un processo accertato e accettato da tutti gli studiosi della Terra.

E’ a seguito di questi movimenti che sono nate le catene montuose, gli archi insulari, le aree vulcaniche, le fosse oceaniche, le isole e le penisole.

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La morfologia della superficie e l’aspetto esterno del pianeta, cambia quindi nel tempo: sappiamo per certo che milioni di anni fa la penisola indiana non aveva ancora formato la catena himalayana entrando in collisione con la placca euroasiatica; o che il Madagascar faceva parte dell’Africa; o che il Mediterraneo era un mare chiuso. E via dicendo.

Ma, se le placche terrestri si muovono, aprendo nuovi bacini e chiudendone altri per dar forma a nuovi continenti, è da aspettarsi che tra qualche centinaio di migliaia di anni la Terra avrà un aspetto totalmente diverso dall’attuale.

E’ previsto, ad esempio, che la penisola italiana sia destinata ad unirsi alla Croazia, facendo scomparire il Mar Adriatico, ma con un po’ di fantasia, modellazioni e calcoli appropriati, si può anche azzardare previsioni di unioni o separazioni su più larga scala.

Infatti, secondo gli scienziati più autorevoli, tra 200 milioni di anni le terre emerse torneranno a nuove aggregazioni. Qualcuno ha ipotizzato una fusione che potrebbe aver luogo attorno all’equatore e a questa terra è stato trovato anche un nome: Aurica.

Altri studiosi ritengono invece che la zona di ritrovo possibile delle terre emerse potrebbe trovarsi attorno al Polo Nord e anche in questo caso sarebbe già stato trovato un nome: Amasia.

Naturalmente, è stato previsto che il clima globale non potrebbe non risentire incisivamente di questi nuovi assetti delle terre emerse, come è stato già preconizzato da Michael Way, un fisico del Goddard Institute for Space Studies della NASA con alcune modellazioni.

“Le variazioni – sostiene Way – riguarderanno soprattutto la circolazione atmosferica e quella oceanica”.

Ovviamente queste variazioni climatiche saranno molto diverse, dipendendo dalle disposizioni dei due supercontinenti illustrati dai modelli.

Nello scenario di Aurica, la temperatura globale salirebbe di oltre 3 gradi centigradi.

L’entroterra di questo supercontinente nella fascia equatoriale sarebbe perciò molto asciutto e la grande ampiezza dei suoli potrebbe non consentire la presenza di alcuna zona coltivabile.

Nello scenario di Amasia, invece, quello in cui tutte le terre emerse si riunirebbero intorno al Polo Nord, le temperature globali diverrebbero molto più fredde. Con un polo ghiacciato, il resto del supercontinente avrebbe una calotta settentrionale molto fredda e la diminuzione delle temperature globali sarebbero più incisive anche per la quantità di calore che verrebbe riflessa nello spazio.

Si verificherebbero copiose nevicate e si abbasserebbe il livello dei mari terrestri. Anche in questo caso, la terra coltivabile subirebbe una drastica diminuzione.

In entrambi i casi i modelli prevedono una perdita di acqua allo stato liquido pari al 60 per cento nel modello Amasia e al 99,8 per cento nel modello Aurica.

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