Gaianews

Ponte di terra della Beringia più recente di quanto ritenuto

Scritto da Leonardo Debbia il 25.01.2023

Un nuovo studio ha ricostruito l’andamento storico delle variazioni del livello del mare nello Stretto di Bering, ipotizzando che il ponte di terra che collegava l’Asia al Nord America sia stato sommerso dalle acque fino a 37.500 anni fa, meno di 10mila anni prima del culmine dell’ultima era glaciale, conosciuta anche come ultimo massimo glaciale.

bering-bridge

Il risultato della ricerca, pubblicato poco prima del Natale scorso in Proceedings National Academy of Sciences (PNAS), presuppone che l’accrescimento della calotta glaciale (e il conseguente calo del livello degli oceani terrestri), si sarebbe verificato in tempi stretti e molto più tardi di quanto ritenuto fino ad oggi.

“Questo spiegherebbe la lenta dinamica con cui oltre il 50 per cento del volume globale di ghiaccio della calotta, formatosi durante l’ultimo massimo glaciale, non si sarebbe accumulato in brevi periodi ma solo dopo i 46mila anni”, sostiene Tamara Pico, docente di Scienze della Terra e dei pianeti presso l’Università della California, Santa Cruz. “L’accumulo di ghiaccio non avvenne immediatamente dopo l’inizio del ‘grande gelo’, ma con un ritardo significativo dell’ accrescimento delle calotte e solo quando le temperature globali erano già diminuite sensibilmente”.

Per giungere al culmine del massimo glaciale, il livello degli oceani della Terra dovette abbassarsi notevolmente nel passaggio delle masse fuse d’acqua oceanica alle grandi calotte di ghiaccio in un processo di solidificazione che durò dai 26500 ai 19mila anni fa, fino a quando le calotte glaciali giunsero a coprire vaste aree terrestri, come ad esempio la Beringia, dall’Alaska alla Siberia; aree in cui si sarebbero viste ripercussioni notevoli sulla formazione degli habitat, concretizzatesi, durante le variazioni climatiche, in consistenti spostamenti di faune di ogni tipo (cavalli e mammut le più iconiche), e infine dei primi gruppi migratori umani.

Queste migrazioni dovettero durare sicuramente per secoli, fino a quando, tra i 13mila e gli 11mila anni fa, le acque oceaniche, sotto l’influsso del riscaldamento atmosferico e il progressivo scioglimento dei ghiacci, cominciarono a risalire fino a ricoprire la Beringia e il ponte di collegamento tra l’Asia e le Americhe.

Il nuovo studio è interessante in particolar modo per quanto concerne la migrazione umana, poichè si accorcerebbero i tempi tra la formazione del ponte terrestre e l’arrivo degli umani nelle Americhe, anche se, pur non influendo sui tempi di permanenza sul suolo americano e in accordo con alcuni studi svolti su tema, si giustificherebbe una presenza più lunga di gruppi umani nella Beringia per tutta la durata del culmine dell’era glaciale.

Il nuovo studio ha utilizzato un’analisi degli isotopi di azoto nei sedimenti del fondo marino durante l’inondazione dello Stretto di Bering negli ultimi 46mila anni, allorchè le acque del Pacifico si riversavano nell’Oceano Artico.

Il primo ricercatore ad analizzare gli isotopi dell’azoto nei sedimenti marini raccolti in tre punti diversi dell’Oceano Artico fu Jesse Farmer, della Princeton University, che ha ricostruito i tempi di riflusso delle acque del Pacifico nell’Artico.

I dati raccolti e riordinati dalla dott.ssa Pico hanno portato alla conclusione che i livelli delle acque marine erano molto più elevati prima del raggiungimento dell’ultimo massimo glaciale, mentre il livello del mare durante l’ultimo massimo glaciale era sceso di circa 130 metri più in basso di quello odierno.

Da sottolineare, tuttavia, che l’effettivo livello del mare in un sito tanto particolare come lo Stretto di Bering, dipenda anche da fattori come la deformazione della crosta terrestre dovuta al peso delle calotte glaciali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA