I buchi neri sono oggetti davvero bizzarri. Fino ad oggi, però, nessuna teoria ne aveva mai messo in relazione la voracità con la struttura. È questo infatti il merito di uno studio disponibile on line su Arxiv.org intitolato Black holes with massive graviton hair.
In termini abbastanza grossolani possiamo definire un buco nero come una regione dello spaziotempo risultante dal collasso gravitazionale di materiale di diversa natura, in cui l’attrazione gravitazionale è così forte che neppure la luce può sfuggire. I buchi neri sono talmente densi che la velocità di fuga dalla loro superficie è superiore alla velocità della luce. Di conseguenza, se un oggetto volesse sfuggirgli dovrebbe avere una velocità di fuga maggiore della velocità della luce.
Rappresentazione artistica di un buco nero. Il contorno chiaro è l’orizzonte degli eventi. (Crediti: Ictor de Schwanberg/Science Photo Library).
Possono essere statici o rotanti, dotati o privi di carica elettrica, sulla cui genesi e fenomenologia gli scienziati discutono vivacemente da decenni. Ma le sorprese non finiscono qui. Secondo gli autori di Black holes with massive graviton hair, il nutrimento continuo di alcuni buchi neri potrebbe essere una causa più che probabile dello sviluppo di peculiari regioni al confine tra l’orizzonte degli eventi e il resto dello spazio che essi occupano.
Per dare un’idea di queste zone gli scienziati hanno coniato una metafora: i buchi neri che conosciamo fino ad ora sarebbero “calvi”, mentre questi buchi neri particolarmente ingordi avrebbero dei peli o capelli. I risultati di questo studio, se verranno confermati almeno da qualche modello matematico, potrebbero avere un notevole impatto non solo sulla struttura dei buchi neri ma anche sulla fisica dello spaziotempo.
Essendo oggetti estremi dal punto di vista gravitazionale, i buchi neri capelloni rappresentano un eccellente banco di prova per le teorie che descrivono il comportamento della gravità e dello spaziotempo – in primis la Relatività Generale (RG). Ora, seguendo la RG di Einstein, per descrivere un buco nero ordinario – con questo intendo oggetti rotanti e privi di carica elettrica come i buchi neri di Kerr – sono sufficienti tre parametri: massa, carica e rotazione. Definiti solo da questi tre valori, i buchi neri sembrano tutti uguali se osservati dall’esterno, anche se hanno avuto origini diverse, o se hanno inghiottito varietà differenti di materia.
I buchi neri calvi non hanno una propria individualità. Il punto è che la RG rende perfettamente conto di questa tipologia di buchi neri ma potrebbe trovarsi in difficoltà di fronte ad oggetti ancora più esotici. Alcuni fisici speranzosi ritengono che ci siano delle differenze tra i vari buchi neri, che forse non derivano direttamente dai parametri ora esposti, e che se si provasse l’esistenza di uno di questi buchi neri capelloni sarebbe possibile creare un ponte tra relatività e fisica quantistica.
In alto a sinistra è rappresentata la galassia NGC 3842. Nel piccolo riquadro si vede la zona che ospita il buco nero, la cui grandezza viene paragonata a quella del Sistema Solare. (Crediti: Pete Marenfeld).
Su questo punto l’articolo firmato da Richard Brito, Vitor Cardoso e Paolo Pani suggerisce un’interessante ipotesi: all’interno del quadro concettuale fornito dalle teorie tensoriali-scalari, è possibile mostrare che la materia precipitata nel buco nero può generare un surplus di carica. Dato che questa carica, se confermata, non potrebbe essere spiegata da nessuna previsione della RG, la spiegazione dei “capelli” potrebbe spingere i ricercatori verso l’analisi di qualche effetto quantistico soggiacente al fenomeno.
La fisica quantistica spiega il surplus di carica? Avi Loeb, uno dei più famosi astrofisici e studiosi di buchi neri della Harvard University, resta abbastanza scettico sull’applicabilità di questo modello teorico ai buchi neri reali. Vitor Cardoso ha replicato spiegando che un surplus di carica potrebbe essere visibile nelle pieghe dello spaziotempo, ossia nelle onde gravitazionali generate dai buchi neri quando collidono.
“Sarebbe uno dei segni più chiari di una deviazione dalla relatività generale”, precisa Vitor Cardoso. Anche se le onde gravitazionali non sono mai state rilevate direttamente, i fisici concordano nel pensare che manca ormai poco alla loro osservazione diretta. Secondo Vitor Cardoso, apportando alcune modifiche tecniche agli attuali rilevatori, entro un quinquennio si potrebbero trovare segni di buchi neri capelloni.
Ma Avi Loeb suggerisce un’altra via per testare la teoria: studiare nel dettaglio la forma dei buchi neri mentre si nutrono: il surplus di carica dovrebbe infatti influenzare l’orbita degli oggetti circostanti, come le stelle massicce che non riescono a sottrarsi alla morsa del buco nero. “Un buco nero con i capelli avrebbe una conformazione differente da uno predetto dalla relatività generale”, conclude Avi Loeb.
Ovviamente si tratta ancora uno scenario teorico e non sappiamo se esistono effetti quantistici cui ricondurre questo surplus di carica. Rilevare questo surplus di carica aprirà certamente una nuova stagione nello studio dei limiti della RG al cospetto di questi giganti esotici.