Le rovine dell’antica città-fortezza Inca di Machu Picchu sono considerate non solo patrimonio mondiale dell’UNESCO, ma anche uno dei più grandi successi architettonici dell’umanità.
Non è certo, ma si suppone che la città sia stata costruita dall’imperatore inca Pacachutéc attorno al 1440 e sia stata abbandonata dopo l’arrivo dei conquistadores spagnoli.
Considerata per secoli ‘la città perduta’, va detto che, in realtà, era stata invece semplicemente dimenticata e quindi riscoperta in più fasi, l’ultima delle quali, nel 1911, l’aveva resa nota in tutto il mondo, grazie alla ricerca di Hiram Bingham, un archeologo dell’Università di Yale.
Costruito in una remota area andina, su una stretta cresta, 400 metri a precipizio sopra il canyon in cui scorre il fiume Urubamba, il sito è ammirato per la sua perfetta integrazione con lo spettacolare paesaggio su cui si èleva.
E’ da mettere in evidenza che proprio la posizione così ‘ardita’ di questa città-fortezza ha sconcertato gli studiosi per lungo tempo.
Perchè gli Incas avevano costruito il loro capolavoro in un luogo così inaccessibile?
A seguito di scrupolose ricerche, si è ora giunti alla conclusione che la risposta potrebbe essere posta in relazione alle faglie geologiche su cui poggia la città.
Il 23 settembre scorso, all’annuale meeting della Geological Society of America (GSA) a Phoenix, Arizona, il geologo Rualdo Menegat, dell’Università Federale del Rio Grande do Sul, in Brasile, ha presentato i risultati di una sua analisi geo-archeologica alquanto dettagliata da cui risulterebbe che gli Incas avrebbero costruito Machu Picchu intenzionalmente – come del resto avevano fatto con altre città – in una zona di incontro di faglie tettoniche.
“La posizione di Machu Picchu non è una coincidenza”, sostiene Menegat. “Sarebbe impossibile costruire un tale sito su un’ alta montagna se il substrato non fosse frammentato”.
Utilizzando una combinazione di immagini satellitari e di misure sul campo, Menegat ha mappato una fitta rete di fratture e faglie che si intersecano al di sotto degli edifici.
Il suo studio indica che queste caratteristiche si presentano con un’ampia scala di variabilità: da minuscole fratture, visibili in singole pietre, a lunghi tratti, estesi anche per 175 chilometri, che delineano l’orientamento di alcune valli fluviali della regione.
Menegat ha scoperto che queste faglie si presentano in diversi insiemi, alcuni dei quali corrispondono alle principali zone di faglia responsabili del sollevamento delle Ande centrali durante gli ultimi otto milioni di anni. Poichè alcune di queste faglie hanno un orientamento nordest – sudovest e altre un’ orientamento opposto nordovest – sudest, incontrandosi assumono una forma ad ‘X’ e proprio in questo modo si intersecano sotto Machu Picchu.
La mappatura di Menegat ipotizza che i settori urbani della città e i campi agricoli circostanti, nonché i singoli edifici e le scalinate abbiano tutti lo stesso orientamento delle faglie principali.
“Altre città Inca, tra cui Ollantaytambo, Pisac e Cusco, si trovano all’intersezione di faglie”, afferma Menegat. “Ognuna è espressione delle direzioni principali delle faglie del sito”.
Questi risultati indicano che la sottostante rete di faglie e fratture è parte integrante della costruzione di Machu Picchu, quanto la sua leggendaria pietra.
Difatti, le pietre sono tenute insieme senza malta e sono così perfettamente aderenti che è impossibile inserire, ad esempio, una carta di credito tra l’una e l’altra.
“Gli Incas erano dei provetti maestri muratori e hanno usato gli abbondanti materiali da costruzione della zona di faglia”, assicura Menegat.
Costruire in una zona del genere permetteva di avere a disposizione rocce in abbondanza, di poterle rompere lungo i piani di faglia e risparmiare le energie per tagliarle e scolpirle.
La posizione della città offriva inoltre il vantaggio di convogliare direttamente nel sito le acque piovane e al tempo stesso proteggerlo da valanghe e smottamenti, aiutandolo a drenare l’acqua durante i frequenti temporali che investono la regione.