La recente scoperta in Amazzonia di una rete di antiche città ‘perdute’ offre una prova evidente di come alcune antiche civiltà preispaniche abbiano potuto estendersi in ampie aree urbane del Sud America, rispettando comunque la natura e l’ambiente selvaggio che le attorniavano e dando origine ad un tessuto urbano molto più sofisticato di quanto finora ritenuto.
Il team di ricercatori internazionali, tra cui il prof. José Iriarte, dell’Università di Exeter, ha riportato alla luce nella savana dei Llanos de Mojos, in Bolivia – pianure caratteristiche della regione – una serie di intricati insediamenti e dei collegamenti tra di essi, rimasti nascosti per secoli sotto le fitte coperture delle foreste.
Le città costruite, attribuibili alla coltura di Casarabe tra il 500 e il 1400 d.C., presentano infatti un insieme di strutture elaborate senza precedenti, comprensive di terrazze alte 5 metri che coprono 22 ettari – l’equivalente di 30 campi da calcio – e di di piramidi coniche alte 21 metri; strutture molto diverse dalle altre scoperte prima d’ora nella regione .
I ricercatori hanno rinvenuto anche una vasta rete di bacini idrici e strade rialzate, che si estende per diversi chilometri quadrati.
Questa scoperta contrasta con lo stereotipo di un’ Amazzonia considerata finora un paesaggio ‘incontaminato’ che, al contrario, testimonierebbe di esser stata la sede di una primitiva urbanizzazione, costituita e gestita dalle popolazioni indigene per quasi un migliaio d’ anni.
Gli studiosi ritengono che queste città non contrastassero la natura ma fossero invece inserite in essa, mediante l’impiego di strategie di sussistenza sostenibili con cui si realizzava la conservazione e si aiutava la biodiversità del territorio in cui queste città erano edificate.
Sulla rivista Nature sono stati pubblicati i risultati della ricerca, portata avanti dai professori Heiko Prumers, del Deutsches Arcaologisches Institut di Berlino; Carla Jaimes Betancourt, dell’Università di Bonn; Josè Iriarte e Mark Robinson dell’Università di Exeter, Regno Unito e Martin Schaich dell’ArcTron 3D di Altenhann, Germania.
Il prof. Iriarte afferma che da tempo si riteneva che le società precolombiane avessero avuto un particolare sviluppo in questa parte di Amazzonia boliviana, ma le prove erano nascoste dalla fitta copertura arborea della foresta, che impediva anche la visita materiale del territorio.
“Con la tecnologia Lidar si è potuto scoprire un mondo inesplorato e inimmaginabile: strade rialzate che correvano diritte per chilometri, terrazze, bacini idrici artificiali e posti di scambio; un sistema urbanistico sorprendentemente inaspettato, sviluppato in oltre 600 miglia di canali e strutture monumentali”, dice Iriarte.
La tecnologia Lidar, associata ad accurate ricerche archeologiche, ha rivelato che le popolazioni indigene erano riusciti ad integrare vari agglomerati urbani in territori boschivi, mentre al tempo stesso contribuivano ad una conservazione del patrimonio ambientale di una parte di Amazzonia.
“Questa regione è stata una delle prime ad essere occupata dall’uomo in tutta l’Amazzonia e qui si iniziò a rendere domestiche colture di importanza globale, come riso e manioca, anche se sono pochissime le conoscenze sulla vita quotidiana e sulle città di questi antichi agricoltori”, continua lo studioso.
La tecnologia Lidar. soprannominata anche ‘laser nel cielo‘, dal momento che utilizza luce laser come segnali radar al posto di impulsi radio, è un aiuto fondamentale per penetrare attraverso la volta della foresta tropicale e poter acquisire ed esaminare i siti della savana nell’ Amazzonia sudoccidentale.
Le informazioni raccolte rivestono un grande rilievo sull’assoluta grandezza e magnificenza dei centri civici-cerimoniali rimasti sepolti dalla vegetazione.
E’ stato possibile osservare che il nucleo centrale dell’intera zona si estendeva per diversi ettari sui quali si trovavano strutture a forma di U, tumuli e piramidi coniche alte 21 metri.
La costruzione urbana e la sua pianificazione non ha precedenti nel resto della regione amazzonica – come detto sopra – ed è solo paragonabile con quanto realizzato dagli stati più antichi delle Ande centrali.
Gli studiosi tengono a sottolineare come questa struttura urbanistica sia stata portata a termine in modo sostenibile e sia stata volta anche alla conservazione del patrimonio ambientale.
Le città furono costruite sui Llanos de Mojos, trasformando le savane allagate stagionalmente in una zona grande quanto l’Inghilterra in acquacolture paesaggi agricoli produttivi.
Pare anche che le popolazioni indigene, lungi dall’entrare in competizione, nonostante lingue e costumi differenti, abbiano agito di concerto tra di loro, unendo le risors e per un fine comune.
“Queste antiche città erano centri di una rete di insediamenti collegati da strade rialzate, ancora visibili, che si irradiavano da nuclei più grandi per diversi chilometri nel territorio”, aggiunge il prof. Mark Robinson, dell’Università di Exeter.
“I risultati ottenuti cancellano la convinzione errata che l’ Amazzonia occidentale fosse scarsamente popolata in epoca preispanica. La disposizione architettonica dei grandi insediamenti della cultura Casarabe indica che gli abitanti di questa regione crearono un nuovo tessuto territoriale sociale e pubblico”.