E’ opinione diffusa che i migranti siano portatori di malattie e quindi rappresentino un rischio per la salute pubblica, oltre a costituire un pesante onere per i servizi sanitari dei paesi ospitanti.
La protezione della salute pubblica e i risparmi sui costi sono spesso usati dai governi come buone ragioni per limitare l’accesso dei migranti all’assistenza sanitaria o per negare loro l’ingresso nei propri territori.
Ora, la Commissione sulla migrazione e la salute, istituita dall’autorevole rivista scientifica britannica The Lancet insieme all’University College di Londra (UCL), rende noti dati e analisi su scala internazionale mediante i quali vengono sfatati i luoghi comuni più ricorrenti su questo presunto rapporto, che non risulta affatto supportato dalle prove raccolte, non tenendo, peraltro, di alcun conto l’importante contributo della migrazione alle economie globali.
Nel corso del 2018, più di un miliardo di persone si è spostato tra i diversi Stati; e per un quarto si è trattato di migranti che attraversavano i confini tra i paesi.
La Commissione, che ha elaborato un progetto biennale guidato da 20 esperti di 13 paesi, ha incluso nuove analisi dei dati raccolti, che rappresentano la revisione più completa delle prove disponibili fino ad oggi.
“La migrazione è un problema determinante del nostro tempo”, afferma il professor Ibrahim Abubakar, presidente della Commissione. “Contrariamente a quanto si crede, creare sistemi sanitari che integrino le popolazioni migranti, andrà a beneficio di intere comunità, con un migliore accesso alla salute per tutti. Non riuscire invece in questo intento potrebbe essere più costoso per le economie nazionali, per la sicurezza sanitaria e per la salute globale rispetto ai modesti investimenti richiesti per garantire il diritto alla salute dei migranti, che renderebbe questi membri produttivi della società”.
Il dr Richard Horton, redattore di The Lancet, avverte: “In troppi paesi la questione delle migrazioni è usata per dividere le società e alimentare una tendenza populista”.
Lo studio britannico ha utilizzato stime di mortalità tratte dall’esame di oltre 15,2 milioni di migranti provenienti da 92 paesi e ha rilevato che ovunque i migranti avevano tassi di decessi più bassi per quanto concerneva malattie cardiovascolari, digestive, endocrine, neoplastiche, nervose, respiratorie e attinenti la salute mentale.
Le uniche eccezioni riguardavano infezioni come l’epatite virale, la tubercolosi e l’HIV, per le quali i migranti presentavano tassi di mortalità più elevati. Tuttavia nel rapporto viene evidenziato che diversi studi (come, ad esempio, quello sulla tubercolosi) hanno dimostrato che il rischio di trasmissione di infezioni è elevato solo all’interno delle comunità di migranti ed è invece trascurabile per le popolazioni ospitanti.
Lo stereotipo dei migranti quali portatori di malattie è forse uno dei più diffusi e più dannosi.
I migranti possono provenire da regioni con un carico di malattie più elevato, specialmente se provengono da regioni sedi di conflitti, con sistemi sanitari pubblici deboli.
Sarebbe necessario poter disporre di sistemi pubblici efficaci per prevenire epidemie di malattie associate o meno alla migrazione.
La Commissione invita quindi i governi a migliorare l’accesso dei migranti ai servizi sanitari nazionali, rafforzando perciò il loro diritto alla salute e auspicando un approccio alla tolleranza zero nei confronti del razzismo e della discriminazione.
“I migranti sono più sani e contribuiscono alla nostra economia e al sistema sanitario nazionale. Non ci sono prove che diffondano malattie infettive”, sostiene Abubakar. “L’esclusione dei migranti dai sistemi sanitari e la retorica negativa crescente è solo politica e non basata su prove. Nel Regno Unito i migranti costituiscono una parte considerevole della forza lavoro, fornendo contributi che dovrebbero essere riconosciuti, anziché osteggiati”.
Purtroppo gli Stati trattano i passaggi di frontiera non autorizzati come reati, portando spesso alla detenzione, come è accaduto e continua ad accadere negli Stati Uniti e in Australia.
La detenzione vìola il diritto internazionale e i risultati di 38 studi su questo punto mostrano che la detenzione è associata ad esiti negativi sulla salute, in particolare la salute mentale.
“Contrariamente all’attuale panorama politico, che descrive i migranti come portatori di malattie, è utile sottolineare come questi siano una parte essenziale della stabilità economica, per quanto riguarda gli Stati Uniti”, chiosa il co-autore dello studio, prof. Terry McGovern, della Columbia University, USA.
Bernadette Kumar, ricercatrice del Norwegian Institute of Public Health, aggiunge: “Troppo spesso tra le politiche governative prevale la politica di esaltazione della xenofobia e del razzismo rispetto alle responsabilità di un’azione di forza al fine di contrastarle”.
“La ‘salute per tutti‘ è un’espressione vuota se non raggiunge i più indigenti, compresi quelli che sono sfollati con la forza, ma significa invece aumentare gli investimenti nell’erogazione di servizi sanitari per i rifugiati e gli sfollati a livello internazionale, per garantire a tutti l’accesso a servizi di qualità”, conclude il deputato laburista David Miliband, Presidente dell’ International Rescue Committee.
La Commissione è pervenuta ai risultati riferiti grazie anche ai finanziamenti del Wellcome Trust, della Fondazione Rockfeller e del Programma Sanitario della UE.