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Acanthostega, salamandra con la testa di pesce

Vissuta 360 milioni di anni fa, questa curiosa creatura probabilmente sarebbe apparsa ad i nostri occhi come una sorta di salamandra con la testa di pesce

Scritto da Andrea Maraldi il 19.05.2014

Gli anfibi ai giorni nostri non godono di grande popolarità: sono ben pochi gli appartenenti a questa categoria che riscuotono simpatia o interesse, essendo per la maggior parte creaturine viscide che vivono nell’acqua stagnante nutrendosi di insetti e detriti organici vari. Eppure gli anfibi sono forme di vita antichissime e che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione della vita sul nostro pianeta, essendo stati gli antenati dei rettili, da cui a loro volta deriveranno mammiferi ed uccelli, ed i primi Vertebrati in grado di vivere e respirare fuori dall’acqua. La creatura di cui parleremo oggi sarà uno di questi “pioneri” ancestrali: l’Acanthostega.

Vissuta circa 360 milioni di anni fa, questa curiosa creatura probabilmente sarebbe apparsa ad i nostri occhi come una sorta di salamandra con la testa di pesce: lungo circa mezzo metro era parte di un gruppo di animali intermedi che andavano da specie più simili ai pesci come Eustenopteron a grossi animali quali Ictiostega, che avevano tentato a più riprese di colonizzare le rive di mari poco profondi ed estuari di fiumi preistorici. Appartiene all’antica famiglia degli anfibi Labirintodonti, di cui è  in effetti uno dei primi rappresentanti.

Malgrado l’aspetto da salamandra, acanthostega era ancora ben lontano dall’essere adatto a vivere permanentemente fuori dall’acqua: la sua struttura ossea era ancora molto più simile a quella di un pesce che a quella degli anfibi a noi familiari. Era dotato sia di branchie che di polmoni e poteva quindi respirare sia dentro che fuori dall’acqua, ma la sua gabbia toracica e la spina dorsale non erano ancora abbastanza robuste da sostenere il peso del corpo fuori dall’acqua a lungo. Come molti pesci se privato per molto tempo del sostengo fornito dalla spinta idrostatica sarebbe morto schiacciato dal suo stesso peso, ragion per cui era anche più piccolo, e quindi più leggero, di altri Labirintodonti.

acantostega

Inoltre le sue zampe erano a dir poco rudimentali: quelle anteriori in particolare erano piccole, deboli e quasi del tutto prive di articolazioni; fuori dall’acqua l’acanthostega non sarebbe nemmeno stato in grado di camminare, ma avrebbe potuto al massimo strisciare spingendosi con la grossa coda e le zampe posteriori. Ogni zampa inoltre terminava con una struttura a raggiera di ben otto dita, quasi certamente palmate, che doveva apparire ben poco diversa dalle pinne dei pesci ossei. Muoversi fuori dall’acqua per questa antica creatura doveva insomma essere un’evento molto raro. Viene quindi sponteneo chiedersi… perché sviluppare zampe e polmoni se poi restavano quasi inutilizzate?

La risposta più semplice che possiamo dare è che l’evoluzione non lascia mai a lungo “spazi vuoti”: la terraferma all’epoca dell’acanthostega era ancora quasi deserta, salvo che per organismi quali muschi, muffe ed i primi insetti, mentre il mare ribolliva di vita. Semplicemente alcuni pesci, sia perché in cerca di nuovi territori che per sfuggire a predatori marini quali gli Euripteridi ed i Placodermi (di cui prima o poi parleremo) hanno iniziato a risalire i fiumi, adattandosi a vivere nelle acque dolci ed in specchi di acqua bassa, che spesso restavano asciutti in certi periodi dell’anno. Alcuni di questi pioneri hanno così sviluppato la capacità di respirare fuori dall’acqua, ed un’anatomia in grado di permettergli di sopravvivere abbastanza a lungo da poter trovare e raggiungere nuove pozze d’acqua, diventando poi con il tempo in grado di rimanere sulla terraferma sempre più a lungo. L’acanthostega era uno dei primi fra questi animali: dipendeva quasi totalmente dall’acqua per la sua sopravvivenza, ma poteva spostarsi fuori di essa quel tanto che bastava per trovare e raggiungere “pascoli più verdi” quando ciò si dimostrava necessario.

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