Specie aliene, cambiamenti climatici e protezione di mammiferi italiani a grave rischio di estinzione. Sono solo alcuni dei temi trattati in occasione del IX Congresso Nazionale di Teriologia in collaborazione con il Parco d’Abruzzo e la Società Italiana di Ecopatologia che si terrà dal 7 al 10 maggio a Civitella Alfedena, nel cuore del Parco. Abbiamo raggiunto il presidente dell’ATIt (Associazione Italiana di Teriologia) Adriano Martinoli, che ha chiarito alcuni degli aspetti più importanti trattati nel congresso.
Domanda: Quest’anno diversi interventi saranno incentrati sulla gestione delle specie aliene. Può dirci in sintesi quali pericoli corre la fauna italiana e quali sono i diretti effetti sull’uomo? Alcuni esempi eclatanti?
Adriano Martinoli: Questo fenomeno globale dell’introduzione delle specie alloctone sta modificando drasticamente gli ecosistemi della Terra, tanto che è diventato una delle maggiori minacce alla biodiversità. Per questo, il contrasto alle introduzioni, che passa attraverso la ricerca finalizzata a conoscere nel dettaglio le problematiche indotte dalle specie alloctone e quindi ad avere gli idonei strumenti conoscitivi per la pianificazione dei più adeguati interventi gestionali, è considerata una delle misure più urgenti per salvaguardare la diversità biologica globale. In particolare in Italia che è il Paese europeo con la maggior biodiversità e che possiede un numero elevatissimo di specie endemiche, ossia esclusive del nostro Paese. Gli effetti sull’uomo, diretti o indiretti, sono legati alle modificazioni degli ecosistemi e delle loro funzionalità (es. estinzioni di specie native), a problemi sanitari (esempio emblematico, anche se esuliamo dal campo teriologico, à quello dell’ambrosia, importata dal nord America, che è un forte allergenizzante con aggravi di costi sul sistema sanitario), a effetti negativi e costi aggiuntivi sulle produzioni nel settore agricolo-forestale (es. la nutria o il cinipide galligeno del castagno importato dalla Cina).
D. : Una sessione del convegno è dedicata alla caccia nelle aree protette, argomento caldo in alcune regioni. Qual è il ruolo dei ricercatori nell’affrontare i problemi legati alla gestione venatoria?
A.M.: La Sessione in realtà si prefigge di incentivare il dialogo tra aree protette e aree esterne soggette alla pianificazione venatoria, al fine di trovare utili sinergie nella pianificazione delle strategie di conservazione delle specie rare o minacciate e di collaborare altresì nella gestione delle cosiddette specie “problematiche”. Gli animali ovviamente non “leggono” i confini e spesso ci troviamo in situazioni nelle quali abbiamo gestioni attive se non in contrasto quantomeno che non sono pianificate in sinergia, inoltre frequentemente le aree soggette a pianificazione faunbistica, in senso lato, sono troppo piccole per poter incidere realmente sulle popolazioni target. Nel campo della conservazione e gestione faunistica occorre quindi incentivare l’idea di operare in forte sinergia avendo obiettivi comuni condivisi.
D.: Anche i cambiamenti climatici sono un argomento importante nel dibattito globale. In Italia la scienza sta al passo con la discussione in atto all’estero? Quali sono i pericoli reali nel nostro Paese e su cosa verteranno gli interventi del convegno?
A.M.: L’influenza dei cambiamenti climatici sulla fauna è un settore di ricerca in rapida evoluzione e certamente nel prossimo futuro avremo un quadro di maggior dettaglio, che permetterà di chiarire maggiormente le criticità. E’ indubbio però che sia uno degli argomenti chiave per la conservazione della biodiversità a livello globale. In Italia fortunatamente esistono diversi gruppi di ricerca che operano sul tema specifico, in collegamento e in sinergia con gruppi stranieri che certamente, anche grazie alla maggior attenzione che la gran parte dei Paesi europei dedica alla ricerca ed alla sua promozione, hanno spesso maggiori opportunità di approfondimento e studio. Per quanto concerne l’Italia sia in relazione alla sua collocazione nell’ambito dell’area mediterranea, sia in relazione alla presenza di peculiari habitat (es. nelle aree alto alpine) potrebbe risentire in modo assai negativo dei cambiamenti climatici, motivo per cui sarà necessario operare in stretta sinergia con gli altri Paesi europei sul tema specifico e sulle contromisure da adottare.
D.: L’Italia ha la fortuna di avere delle specie carismatiche in termini di biodiversità della fauna: l’orso e il lupo sono probabilmente gli animali più noti. Su cosa verteranno gli interventi ad essi dedicati?
A.M.: Le due specie che cita sono certamente “carismatiche” ma suscitano pareri spesso contrastanti tra chi vorrebbe un completo reinsediamento delle due specie e chi, temendone ripercussioni negative, tende a contrastare le attività di conservazione promosse da vari enti a livello nazionale. Al Congresso avremo l’opportunità di ospitare i partner (Regioni, Province, Parchi e Associazioni) che hanno collaborato ad un progetto finanziato dalla Commissione Europea proprio sulla conservazione dell’orso che ci illustreranno gli esiti del lavoro svolto negli ultimi anni. In questo contesto, oltre che all’approccio tecnico-scientifico alla conservazione della specie, verranno anche affrontate le tematiche legate alla percezione della specie nell’opinione pubblica e alle attività messe in atto per riuscire a modificare gli atteggiamenti aprioristicamente negativi, che spesso sono un elemento di forte negatività nell’accettazione, e quindi nell’efficacia, delle politiche in atto per la conservazione di queste specie “bandiera”.
D.: Riuscire a fare comunicazione della scienza in Italia: in che misura secondo lei uno scienziato dovrebbe occuparsi di comunicare i contenuti delle proprie ricerche? Quali sono i problemi e le mancanze che un ricercatore italiano deve affrontare in questo senso?
A.M.: Quest’anno affrontiamo per la prima volta, con uno specifico workshop dedicato al tema, la questione della comunicazione vista come elemento che, seppur indirettamente, è in grado di influenzare le politiche di conservazione della fauna nel nostro Paese. Non trascurando un fattore di importanza fondamentale: una buona comunicazione scientifica è certamente un utile strumento culturale, al quale il nostro Paese non può e non deve rinunciare.
Probabilmente gli scienziati italiani, con qualche lodevole eccezione, pagano lo scotto di uno storico isolamento dal mondo reale con il quale non hanno avuto l’abitudine di confrontarsi direttamente o comunque grazie alla mediazione di esperti della comunicazione in grado di veicolare correttamente le informazioni. Questo è un elemento di criticità che dobbiamo lasciare alle spalle, gli open day, le notti dei ricercatori e anche l’iniziativa “M’ammalia. La Settimana dei Mammiferi” sono piccoli passi in questa direzione.