“Questo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra”.
Quelle appena citate sono le parole di M. Heidegger. Parliamo di Jacques Lacan, psicanalista e psichiatra parigino, morto nel 1981. La sua rilevanza storico-filosofica è per noi importante perché fu allievo diretto del filosofo hegeliano Kojève e nel delinearsi del suo sistema risentì molto della filosofia strutturalista di Jakobson e Levi Strauss.
Ogni mercoledì dal 1953, alla stessa ora, Lacan teneva dei seminari nell’ospedale di Sainte Anne. Tali seminari saranno raccolti negli “ Scritti”, testi di riferimento per orientarsi nel suo complicato sistema psichiatrico-filosofico. Lacan non è uno psichiatra semplice, tutt’altro. Il suo pensiero non fu mai statico e concluso, ma in perenne divenire ed evoluzione. Questa caratteristica lo avvicina molto all’idea di filosofia novecentesca che abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi tempi.
Lacan dichiara apertamente di avere un obiettivo: “ Tornare a Freud, nella sua originalità”. Qual è dunque questa originalità freudiana che sta tanto a cuore a Lacan? La rivoluzione delineata del maestro è, per il nostro psichiatra, quella di togliere il primato all’Io- non più visto come elemento unitario e basilare dell’uomo- e porre l’attenzione totalmente sull’inconscio.
L’inconscio rappresenta la parte più misteriosa dell’uomo e per Lacan ha una struttura ben precisa: quella del linguaggio. Decifrare l’inconscio significa perciò decifrare questo linguaggio, che si presenta come Altro rispetto al linguaggio conscio che il soggetto conosce e usa abitualmente.
L’unico legame tra i due linguaggi è la presenza, in entrambi, di figure retoriche in primis la metafora e la metonimia che, secondo Jakobson, sono gli assi portanti di ogni lingua. Con metafora si intende la fusione di un concetto in una singola immagine o parola( Ex. Occhio di lince). Per metonimia la denominazione di una cosa con un altro nome, con il quale vige una relazione che può essere di continuità, affinità o dipendenza( Ex. Comprare un Picasso). Questi due Topoi fungono da guida nel tentativo di decifrare il linguaggio inconscio presente nell’uomo.
Solo la psicanalisi riesce nell’obiettivo di operare una “riduzione dell’Io” ossia, far sì che la verità inconscia parli. Tale verità, tuttavia, non è un dato innato nell’uomo, ma è un risultato della costruzione evolutiva del soggetto. Anche l’inconscio quindi si forma, esattamente come la persona fisica. Lacan cerca anche di delineare le tappe fondamentali di questa costruzione dell’inconscio. La prima è definita “ dello specchio”: il bambino, intorno ai 18 mesi si incontra-scontra con la sua immagina riflessa allo specchio in braccio alla madre. Da questo istante inizia la consapevolezza del proprio corpo e della madre vista per la prima volta come oggetto del desiderio, ostacolato dal padre. Lacan, come evidente, non pone in discussione il modello edipico di Freud, visto come pulsione naturale e istintiva nel bambino. Il rapporto con la madre è necessario anche per giungere ad elaborare un mondo simbolico e immaginario diverso da quello reale, comprendendo che il reale non dipende dalla propria coscienza, ma da qualcosa di esterno da cui il bambino stesso è precluso. Ad esempio, l’assenza della madre prima viene vissuta come una colpa, poi compresa come realtà frutto di dinamiche a se stanti e indipendenti dalla coscienza del bambino stesso.
Ruolo della psicanalista sarà quindi quello di ascoltare il fluire del linguaggio inconscio, soffermandosi su alcuni episodi, detti etici, della storia esistenziale dell’individuo per far riflettere sulle scelte, sugli incroci e sulle tappe essenziali vissute. In tal senso, alcuno avvicinano questo aspetto di Lacan alla Consulenza Filosofica.
Il film che vi consiglio questa settimana è “ L’uomo che verrà” di G. Diritti.