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Gli esseri umani lasciano microbi ‘congelati’ sul Monte Everest

Scritto da Leonardo Debbia il 15.04.2023

Grazie ai progressi compiuti nelle analisi del DNA dei microbi, alcuni ricercatori dell’Università del Colorado, Boulder, hanno scoperto che sulla montagna più alta della Terra gli alpinisti non lasciano solo le impronte dei loro scarponi.

everest

Se un alpinista starnutisce sull’Everest, i suoi germi possono conservarsi dormienti in quei ghiacci per centinaia di anni”, sostiene Steve Schmidt, biologo ed ecologista, nonché direttore del progetto di ricerca.

A questa scoperta si è giunti partendo dai rifiuti lasciati dagli escursionisti della montagna nel campo base di Colle Sud, situato in una depressione tra il Monte Everest e la sua cima gemella Lhotse, che è da ritenere un vero e proprio accumulo di microbi congelati in grado di resistere ad alta quota in condizioni estreme e restare dormienti, in quei luoghi, per decenni, se non addirittura per secoli.

La ricerca mette in risalto l’impatto invisibile del rapporto tra l’uomo e la montagna in quegli ambienti particolari che rappresentano i limiti della sopravvivenza.

A fronte di questi effetti negativi, si può tuttavia riflettere su un aspetto che si schiude dinanzi a questo problema: il vantaggio che ne deriva per la ricerca della vita su quei pianeti che hanno zone proibitive per gli esseri umani.

I risultati sono stati resi noti sulla rivista Arctic, Antarctic and Alpine Research, una pubblicazione della stessa Università statunitense ad opera dello stesso Schmidt.

Ciò che ha meravigliato maggiormente gli scienziati, comunque, non è stato tanto il fatto di trovare microbi sulle nevi dell’Himalaya, della cui presenza si poteva star certi, dal momento che i microbi sono praticamente presenti ovunque, sulla Terra – nell’aria, negli ambienti marini più vari e sulle distanze più lunghe – quanto il fatto che la loro presenza in forme che dovrebbero essersi evolute per adattarsi a vivere in ambienti caldi e umidi (il nostro naso, la nostra bocca) siano anche stati talmente resistenti da sopravvivere allo stato dormiente in condizioni ambientali così difficili.

Il team di ricercatori, di cui facevano parte anche studiosi della criobiosfera che avevano già campionato i suoli dell’Antartide, delle Ande e dell’Artico, non si aspettavano di trovare la grande abbondanza microbica associata alla presenza umana osservata sull’Everest.

L’organismo più abbondante è risultato un fungo del genere Naganishia che può resistere a livelli estremi di radiazioni fredde e UV, ma non sono mancati lo Staphylococcus, un dei batteri più comuni della pelle e del naso e lo Streptococcus, un genere dominante nella bocca umana.

I ricercatori non si attendono che questo inquinamento batterico possa avere conseguenze per la vita sulla Terra, ma tendono a sottolineare, come anzidetto, le implicazioni che la loro presenza comporta nell’aspettativa di vita su altri mondi, qualora gli esseri umani potessero mettervi piede.

Potremmo trovare la vita su altri pianeti o lune fredde” osserva, speranzoso, Schmidt. “E allora dovremo stare attenti a non contaminarli con i nostri”.

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