La faccia che la Luna mostra alla Terra appare molto diversa dalla sua faccia nascosta, quella sul lato opposto del satellite.
La faccia visibile è dominata da ampi mari, vaste distese di colore scuro, formate da antiche colate laviche; quella nascosta è invece praticamente priva di mari e appare butterata da numerosi crateri di ogni dimensione.
Il motivo di questa profonda differenza, che non è solo morfologica ma anche geochimica, è ancora del tutto sconosciuto e costituisce l’invitante obiettivo per un nuovo studio.
Gli scienziati, dopo aver elaborato le più svariate teorie in proposito, avanzano una nuova spiegazione di questa Luna ‘a due facce’, ipotizzando che questo processo di differenziazione sia iniziato dopo un gigantesco impatto sulla faccia ‘nascosta’, nelle vicinanze del polo sud lunare, impatto che sarebbe avvenuto miliardi di anni fa.
Il nuovo studio, nato dalla collaborazione tra Matt Jones, docente alla Brown University, i ricercatori della Purdue University, il Lunar and Planetary Science Laboratory in Arizona, la Stanford University e il Jet Propulsion Laboratory della NASA – i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances – si basa sulla collisione del nostro satellite con un non meglio identificato corpo celeste che provocò la formazione del gigantesco bacino lunare del Polo Sud-Aiken (SPA).
Il catastrofico urto, secondo gli studiosi, avrebbe originato un enorme flusso di calore che si sarebbe propagato attraverso l’interno lunare, trasportando in superficie, sul lato visibile rivolto alla Terra, una serie di rari minerali (terre rare) e di elementi esotermici (che sviluppano calore).
L’alta concentrazione di questi elementi – che ritroviamo in gran quantità sulla faccia visibile – avrebbe caratterizzato il vulcanismo i cui risultati furono le enormi distese vulcaniche identificate come mari.
“Sappiamo che grandi impatti come quello che ha prodotto il bacino del Polo Sud lunare svilupperebbero un’enorme quantità di calore”, afferma la Jones, che è anche autrice leader dello studio. “Ci si domanda tuttavia come quel calore abbia potuto influenzare la dinamica interna della Luna. Ciò che possiamo ipotizzare è che, indipendentemente dalla condizione in cui si è formato all’epoca quel bacino, il processo che ne seguì fu la concentrazione sulla faccia visibile di elementi che producevano calore.
Riteniamo che questo processo abbia coinvolto la fusione di quasi tutto il mantello, che ha prodotto a sua volta le colate laviche che oggi possiamo osservare sulla superficie lunare”.
Le differenze tra le due facce della Luna furono osservate per la prima volta negli anni ’60 dalle missioni sovietiche e dal programma Apollo degli USA.
Spaccato dell’interno lunare. In evidenza il bacino del Polo Sud
conseguente la collisione e lo spostamento di elementi esotermici
Sebbene le differenze nei depositi vulcanici fossero state immediatamente evidenti, le missioni che seguirono svelarono poi anche le differenze geochimiche, che si rivelarono avere una composizione anomala, denominata KREEP (acronimo di potassio (K), terre rare (REE), fosforo (P) e torio, tutti elementi che sviluppano calore) che caratterizza particolarmente l’interno e i bordi della più grande pianura vulcanica lunare (Oceanus Procellarum).
E’ stata così data per certa una connessione tra questi elementi e i flussi di lava che hanno ricoperto la faccia visibile, pur non sapendo spiegarne la causa.
Una interpretazione viene fornita dal nuovo studio, che collega questa abbondanza di elementi con l’avvallamento del Polo Sud-Aitken.
Per provare questo legame sono state eseguite simulazioni al computer per mezzo delle quali si è risaliti al gigantesco impatto che avrebbe agito da innesco e alterato i moti convettivi all’interno della Luna, incidendo quindi sulla distribuzione e sulla composizione del mantello, in specie la sua parte più esterna.
Il flusso di calore generato avrebbe sconvolto l’uniformità della composizione del mantello, alterando la distribuzione degli elementi e trasportando verso la crosta e poi in superficie i materiali più ‘caldi’.
E’ da sottolineare che in laboratorio un flusso di calore veniva comunque diffuso sia a seguito di urti ‘diretti’ (i più violenti) che di urti ‘di striscio’ e anche se le quantità di calore liberate erano differenti, la loro origine veniva prodotta da elevate concentrazioni degli elementi presenti nel KREEP.
Gli autori dello studio si dicono soddisfatti di aver potuto aprire uno spiraglio su uno dei misteri più affascinanti e irrisolti del nostro satellite naturale.