Ne avevamo già parlato in un articolo dello scorso novembre, sottolineando i dubbi degli scienziati sulla natura dell’oggetto celeste che il telescopio Pan-STARRS 1 delle Hawaii aveva individuato nel mese di ottobre 2017.
Avevano sorpreso sia l’improvvisa comparsa del corpo, mai osservato prima di allora, che le caratteristiche fisiche, una forma affusolata che ricordava quella di un sigaro, con dimensioni valutate sui 400 metri di lunghezza per 40 di larghezza.
A destare tuttavia il maggior interesse era stata l’insolita orbita che l’oggetto stava percorrendo; orbita che lo mostrava come proveniente dall’esterno del sistema solare e che, stando ai calcoli sul percorso allora in atto, lo indicava destinato ad un breve trattenimento come nostro ospite su una rotta che lo avrebbe riportato indubbiamente fuori dal sistema solare. Difatti, l’orbita appariva non come una ellisse interna al nostro sistema, ma piuttosto come un ramo di iperbole; da cui, un andamento ellittico molto più ampio, che interessava lo spazio interstellare, ben oltre il nostro sistema solare.
Il fatto che non si trattasse di una cometa fu confermato non appena giunse vicino al Sole, a circa 45 Km di distanza dalla nostra stella, senza lasciarsi dietro alcuna coda, come solitamente fanno le comete, quando il ghiaccio che contengono evapora per sublimazione, passando dallo stato solido allo stato gassoso.
Esclusa la natura di cometa, fu classificato quindi come asteroide interstellare e chiamato I/2017 U1. Gli fu dato anche il nome di Oumuamua, che in hawaiano significa ‘primo messaggero che viene da un’altra stella’.
Le osservazioni astronomiche di cui venne fatto oggetto in seguito hanno chiarito alcuni particolari, all’apparenza inconsueti.
La mancata sublimazione del ghiaccio, secondo uno studio pubblicato su Nature Astronomy da Alan Fitzsimmons, della Queen’s University di Belfast, Regno Unito, è stata spiegata con il fatto che Oumuamua avrebbe acquisito un efficace schermo protettivo isolante di materia organica, formatosi per effetto dell’esposizione ai raggi cosmici.
Grazie al William Herschel Telescope di La Palma, nelle Canarie, è stato misurato lo spettro dell’oggetto nelle diverse lunghezzze d’onda, scoprendo la composizione chimica della sua superficie, che non corrisponde né alle comete (come era prevedibile), né a quella tipica degli asteroidi, che sono ricchi di pirosseni e olivina.
Alla luce di queste analisi, la superficie esterna sembra avere la funzione di un guscio ricco di composti organici che avrebbe protetto l’interno dell’oggetto dalla vaporizzazione nei pressi del Sole, allorchè le temperature raggiunsero sicuramente i 300°C.
E Fitzsimmons conferma che “la superficie di Oumuamua è simile ai piccoli corpi del sistema solare ricoperti di ghiacci ricchi di carbonio, chiamati planetesimi, la cui struttura viene modificata dall’azione dei raggi cosmici”.
Ma cosa poteva contenere al suo interno questo guscio di materia organica?
Qualche studioso ha ipotizzato l’esistenza di molecole d’acqua provenienti da un altro sistema stellare, quello da cui è arrivato e che è stato identificato nella costellazione della Lyra.
Una prima fase di ascolto di eventuali segnali radio è stata iniziata dal Green Bank Radio Telescope nel West Virginia il 13 dicembre ed è durata 6 ore, senza peraltro che sia stato rilevato
alcun segnale.
Nè le successive intercettazioni hanno sortito esiti positivi.
Oumuamua rimane in silenzio radio, allontanandosi dal nostro sistema solare a 95mila chilometri all’ora verso lo spazio più profondo dal quale è uscito, per farci visita, solo pochi mesi fa.