La disposizione dei resti vulcanici sul territorio australiano fornisce la prova del movimento verso nord dell’intero continente che, spostandosi sul substrato fluido durante gli ultimi 35 milioni di anni, è venuto a trovarsi proprio al di sopra di un punto caldo all’interno della Terra.
I ricercatori dell’Università del Queensland – dr Tamini Tapu, prof.ssa Teresa Ubide e prof. Paulo Vasconcelos – hanno scoperto come questi resti abbiano rivelato come la struttura interna dei vulcani australiani sia diventata sempre più complessa mano a mano che la produzione di magma dell’hotspot andava diminuendo.
L’hotspot, straordinariamente potente nelle sue fasi iniziali, secondo Tapu ha dato origine ad alcune delle attrazioni naturali più caratteristiche dell’Australia centrale.
“Questi grandi vulcani sono stati attivi fino a sette milioni di anni fa”, afferma Tapu. “La loro formazione risale al tempo in cui il continente, nel suo spostamento, è giunto sull’ hotspot all’interno del pianeta e gli strati della crosta immediatamente al di sopra di esso hanno preso a fondere rapidamente, consentendo al magma di fuoriuscire in superficie.
“Questo processo ha lasciato dietro di sé diversi punti di riferimento ben visibili, una serie di cicatrici sulla superficie terrestre data da una lunga catena di vulcani lungo il lato orientale dell’Australia (i vulcani del Queensland, le Glass House Mountains e il Tweed Volcano)”.
Si ipotizza che le enormi effusioni di lava del Tweed Volcano potrebbero aver indebolito il punto caldo, facendo in modo che i vulcani più giovani siano anche i più piccoli e meno longevi della serie.
“La sequenza e la disposizione degli edifici vulcanici indicherebbero pertanto l’indebolimento dei flussi lavici evidenziati dallo spostamento del continente”, sostiene Tapu.
La prof.ssa Ubide afferma che la diminuzione della produzione di magma avrebbe causato la formazione di vulcani con una circolazione interna di magmi più complessa e con eruzioni di lave contenenti cristalli a loro volta a composizione più variabile e più complessa.
Questi cristalli testimonierebbero i meccanismi di funzionamento interno dei vulcani che – secondo la vulcanologa – si rivelavano ricchi di sacche e serbatoi magmatici che, una volta divenuti più freddi e più viscosi, avrebbero dato luogo ad eruzioni di carattere più esplosivo.
“Abbiamo scoperto che l’arrivo di nuovo magma più caldo e ricco di gas, agisce come una bottiglia di una bevanda gassata che venga agitata, provocando un aumento della pressione nel magma e infine un’eruzione”, dice la Ubide.
“E i vulcani estinti dell’Australia sono un laboratorio unico al mondo per studiare i meccanismi alla base delle eruzioni vulcaniche, anche perchè l’effetto dell’erosione durante milioni di anni ci consente di accedere a sequenze complete di lave non accessibili in vulcani recenti, rendendo possibile ricostruire la struttura interna di un vulcano. E’ un po’ come aprire una casa delle bambole” chiosa la vulcanologa.
Lo studio di questi processi riveste una notevole impotanza dal momento che gli hotspot attivi sono molto diffusi sulla Terra, sia nell’Oceano Pacifico come nell’Atlantico e sotto i continenti, come il vulcano Yellowstone negli Stati Uniti.
I vulcani di queste aree producono volumi ingenti di lava e hanno ruoli significativi sia nell’evoluzione del nostro pianeta che nella fomezione della sua atmosfera. Comprendere i meccanismi che regolano queste eruzioni è infinitamente utile.
Questo studio mostra il ruolo delle anomalie termiche che, all’interno della Terra, costituiscono il punto di partenza di questi processi e la loro evoluzione nel corso di milioni di anni.