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Nel Pliocene, il ritiro dei ghiacci e l’espansione delle foreste resero il clima più umido

Scritto da Leonardo Debbia il 16.04.2022

Poichè le emissioni di gas serra di origine antropica continuano ad aumentare oltre i limiti che la nostra specie abbia mai sperimentato prima d’ora, gli scienziati stanno riesaminando un mistero del passato che possa rispondere agli interrogativi su come ci si potrebbe aspettare il futuro.

Questo studio, pubblicato su Nature Communications, è stato svolto da un team internazionale di ricercatori e fa parte di un progetto denominato 2nd Pliocene Model Intercomparison Project o PlioMIP2, per mezzo del quale si è inteso ricostruire il clima del Pliocene di oltre 3 milioni di anni fa – ossia l’ultima volta in cui la Terra ha avuto concentrazioni di CO2 pari a oltre 400 ppm, quantità simili alle concentrazioni odierne – con l’intento di capire meglio che cosa ci saremmo potuti aspettare per i decenni a venire.

Il Pliocene, di fatto, pone una domanda di vecchia data, secondo Ran Feng, ricercatore del Dipartimento di Geoscienze dell’ Università del Connecticut (Uconn), autore principale della ricerca e cioè: nonostante la citata somiglianza con i giorni nostri, perchè nel Pliocene le zone aride quali il Sahel in Africa e la Cina settentrionale erano molto più umide e più verdi di quanto siano al giorno d’oggi?

“Le condizioni climatiche del Pliocene erano più calde di 2-3° C rispetto alle attuali e tutto ciò che sappiamo sulla fisica del sistema climatico suggerisce che nelle regioni subtropicali il Pliocene avrebbe dovuto essere più asciutto, cosa che non è accaduta”, afferma la co-autrice, professoressa Tripti Bhattacharya, del laboratorio di geologia presso la Facoltà di Scienze della Terra e dell’ambiente alla Syracuse University. “Il nostro studio è motivato dal desiderio di comprendere questa apparente contraddizione e accertarsi se siano avvenuti particolari processi che possano spiegare le cause di questa umidità più elevata dei climi pliocenici subtropicali”.

Studi precedenti suggerivano che l’unica spiegazione per questa discrepanza del Pliocene poteva essere fornita solo dal verificarsi di qualche meccanismo (non conosciuto) che non era stato rilevato nei modelli con cui si ricostruiva il clima del Pliocene, anche se i risultati delle modellazioni erano comunque sempre coerenti con condizioni umide dei continenti subtropicali.

“Investigando più a fondo, abbiamo scoperto che l’idroclima pliocenico nelle zone aride come il Sahel e l’Asia orientale subtropicale diveniva molto più umido quando nelle simulazioni venivano inseriti dei cambiamenti nella vegetazione e nella calotta glaciale”, afferma Feng. “I cambiamenti sul lungo termine delle condizione terrestri, quali lo spostamento di biomi e delle calotte glaciali rivelavano il loro ruolo essenziale sul ciclo idrologico, che veniva modificato dalla CO2”.

“I continenti in cui la vegetazione si espandeva notevolmente e dove si formavano ampie zone libere dalla copertura del ghiaccio in seguito al ritiro delle calotte glaciali, subivano notevoli effetti nella variazione della temperatura superficiale, dal momento che si abbassava l’albedo (la capacità di riflessione della luce nello spazio) e veniva influenzato il ciclo idrologico, con un incremento dell’evaporazione e dell’umidità. Queste condizioni non possono avere conseguenze visibili su archi temporali troppo brevi (40-50 anni), ma lasciano la loro traccia sul lungo periodo”.

Secondo Feng, purtroppo, nel fare previsioni sul clima dei prossimi 10-50 anni, questi cambiamenti sono quindi tenuti in scarsa considerazione. E invece, questo è un motivo di preoccupazione, perchè i cambiamenti nel ciclo idrologico del sistema Terra comporteranno che luoghi come l’Asia sudorientale, l’India e l’Africa occidentale, dove oggi si verificano precipitazioni abbondanti, con l’inverdimento dei continenti e le calotte glaciali in ritirata avranno, su un arco temporale notevole, precipitazioni estive ancora più frequenti.

“Il nostro studio suggerisce che per spiegare il clima del Pliocene non abbiamo bisogno di ricorrere a meccanismi estremamente particolari”, ribadisce Bhattacharya. “Solo includendo i cambiamenti introdotti di recente, si giunge a ridefinire il ruolo dei modelli utilizzati allo scopo di avere simulazioni attendibili del passato”.

Feng conclude invitando alle considerazioni sul lungo termine, ancorchè analizzare intervalli di tempo brevi.

“Del resto, solo guardando ai climi passati, possiamo prepararci meglio ad affrontare scenari sul clima futuro della nostra Terra”, conclude lo studioso.

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