Quello che ho notato è che gli occhi di chi fomenta l’odio non sanno sorridere.
Mi pare una giusta punizione: in vita, chi fomenta l’odio verso gli altri, è un infelice, pieno di odio.
Hanno occhi e voci rancorose, spesso urlano, poi sono in genere brutti, perché anche i sorrisi sono smorti, o forzati, o falsi.
Fare il male, fomentare l’odio, rende brutti e infelici. La cattiveria è una malattia. Ecco credo proprio sia così. Purtroppo è una malattia che colpisce soprattutto le vittime.
In certi momenti anche io mi sento una vittima. Nel mio piccolo di persona che ha una bella casa, che ha tanto dalla vita, che ha amici e amore e che cerca di non fare del male a nessuno, mi sento però una vittima perché la crudeltà degli altri mi contamina, mi addolora. Il loro sorriso smorto me li rende antipatici, i loro occhi spenti me li rendono lontani. Mi fanno un po’ schifo e non mi piace provare schifo per nessuno.
Ma le vere vittime sono altre. Ora, per esempio, va di moda il clandestino.
Che bel capro espiatorio.
Lo puoi picchiare. Lo puoi far morire di fatica a raccogliere pomodori. Lo puoi stuprare (se è una donna di solito) tanto lavora per te. Lo puoi segnalare alle autorità: Orzinuovi (Brescia). E dicono che non è una caccia all’uomo. No, è un cladestino.
Che bel capro espiatorio.
Lo puoi usare come strumento per raccogliere voti, per sfogare la rabbia, per dare un senso alla tua inettititudine. La colpa è sempre fuori di noi.
Mai vedere la trave nel proprio occhio. Mai.
Puoi dire: ma che clandestino è che butta il cibo?
Perché se uno è clandestino, se uno è vittima, se uno è sventurato deve anche ssere umile e grato del boccone che gli si lancia di tanto in tanto. Eh, se sei qui a chiedere sei già in torto. Non puoi permetterti di mantenere dignità, nemmeno un pasto decente. Sei qui a chiedere aiuto, dici che scappi dalla fame ci rubi il posto di lavoro e hai pure pretese e persino non strisci grato ai nostri piedi e rigetti la nostra carità?
Eh, no. Non si fa così. Ti devi essere umile, sottomesso, devi essere in pieno e in tutto loschiavo che ti permettiamo di essere. Se no, ti diamo la caccia e forse anche se sei uno schiavo quando non ci servi più ti diamo la caccia lo stesso.
Simone Weil, la persona che meglio di tutte secondo me ha analizzato la sventura ene ha scritto, proprio lei ha detto queste cose.
E prima di lei, molto prima, Eschilo poeta greco ha scritto una tragedia Le Supplici in cui un padre dice alle sue figlie esuli in terra straniera di stare attente a come parlano perché a chi ti ospita non va che tu ti metta sullo stesso piano. Sii vittima fino in fondo: che tu sia un capro espiatorio o un modo per far star meglio chi ti aiuta, sei sempre un gradino sotto di me.