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L’intero arco himalayano può generare violenti terremoti

Scritto da Leonardo Debbia il 15.11.2016

Secondo un nuovo studio, la principale faglia ai piedi della catena dell’Himalaya è, con ogni probabilità, in grado di generare grandi terremoti distruttivi lungo tutta la sua lunghezza, che è di ben 2400 chilometri.

Combinando le documentazioni storiche con i nuovi dati geologici, lo studio mostra che la porzione della faglia nella regione del Bhutan, mai studiata prima d’ora, potrebbe scatenare un terremoto devastante, come già è accaduto nel 1714.

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Bandiere di preghiera buddiste in Nepal, sull’Himalaya (credit: Byelikova Oksana)

“Per la prima volta possiamo affermare che il Bhutan, sull’Himalaya, è una regione sismogenetica; per niente tranquilla”, dice Gyorgy Hetényi, geofisico presso l’Università di Losanna, in Svizzera, autore del nuovo studio, pubblicato da Geophysical Research Letters, la rivista della American Geophysical Union.

In Himalaya si sono avuti alcuni dei più violenti terremoti del mondo; come, ad esempio, quello di Gorkha, di magnitudo 7.8, che devastò il Nepal nel 2015, causando più di 8000 morti.

Gli scienziati tuttavia non erano in condizioni di sapere con certezza se lungo l’arco di 2400 chilometri della catena tutte le regioni fossero sismogenetiche o comunque in grado di produrre terremoti.

Il Bhutan era una delle ultime aree da verificare lungo tutto l’arco montuoso himalayano.

Nel paese non era mai stata tenuta alcuna registrazione degli ultimi grandi eventi sismici e, per di più, non si era mai proceduto ad alcuna accurata indagine sismologica.

Secondo gli autori, avere la conferma di un forte terremoto in Bhutan nel 1714, come fa il nuovo studio, significa che l’intero arco himalayano ha sicuramente sperimentato un violento sisma negli ultimi 500 anni. Colmando questa lacuna, il nuovo studio aiuta i milioni di residenti nella regione a comprenderne i potenziali rischi naturali cui possono andare incontro.

L’Himalaya, l’area con le montagne più alte della Terra, dal punto di vista geofisico è il risultato della subduzione della placca tettonica Indiana che si immerge al di sotto della placca eurasiatica.

Le montagne formano un arco da nord-ovest a sud-est lungo circa 2400 chilometri, pari alla distanza che intercorre tra le coste orientale e occidentale degli Stati Uniti.

Nel corso del 20° secolo il Bhutan, una piccola nazione ad est del Nepal, incuneata tra India e Cina, è stata relativamente isolata dal resto del mondo e agli scienziati è stato raramente consentito l’accesso all’interno del paese.

Fino a qualche tempo fa i sismologi credevano che il Bhutan fosse l’unico grande segmento himalayano a non aver subito alcun forte terremoto negli ultimi 500 anni; o almeno, nessun evento sismico di cui si fosse venuti a conoscenza.

Ma, dopo un terremoto di magnitudo 6, che colpì il Paese nel 2009, i governanti locali decisero finalmente di aprire le porte agli scienziati affinché fossero eseguite appropriate indagini geofisiche.

Tra il 2010 e il 2015 Hetényi e il suo team hanno fatto diversi viaggi in Bhutan per catalogare piccoli sismi interessanti quell’area e per studiare la struttura dei cambiamenti della placca tettonica nella sua discesa in subduzione sotto la catena di montagne che la comprimevano.

La domanda cui speravano di poter rispondere era se il Bhutan avesse mai sperimentato grandi terremoti distruttivi in epoca storica.

Documentazioni storiche di terremoti avvenuti in Bhutan sono rare, ma fortunatamente Hetényi

trovò una biografia del 28° secolo del famoso monaco buddista Tenzin Lekpaj Dondup, che aveva costruito anche un monastero nel Bhutan.

Nella biografia si leggeva che un sisma, agli inizi del mese di maggio 1714, aveva distrutto il monastero.

Nel racconto del monaco era riportato che erano state avvertite molte scosse di assestamento, ma la descrizione da sola non era sufficiente a far localizzare l’evento.

“Non si sa mai se una descrizione di devastazioni di un’area piccola sia dovuta a un terremoto locale o non sia frutto di un sisma, magari più violento, verificatosi a grande distanza”, dice il geologo Laurent Bollinger, della Commissione francese per l’energia atomica.

In Bhutan, nel frattempo, alcuni colleghi di Hetényi avevano scavato attorno alla linea di faglia  per osservare se un suo lato avesse subito uno spostamento verticale rispetto all’altro lato, prova  correlabile con un probabile evento sismico.

L’indagine sul terreno, condotta da Romain Le Roux-Mallouf, geologo presso l’Università di Montpellier, ha individuato le prove di un sollevamento di un lato della faglia, che poteva essere avvenuto tra il 1642 e il 1836.

Hetényi ha così confrontato i risultati di questo esame sul campo con i documenti storici del sisma del 1714 per cercar di capire dove fosse realmente avvenuto e quanto violento fosse stato.

La conclusione cui è giunto lo studioso è che il movimento della faglia era con tutta probabilità da correlarsi al terremoto del 1714, che aveva interessato il Bhutan centro-occidentale e che aveva avuto una magnitudo di almeno 7.5-8.5.

Per riuscire ad aprire un segmento di 100-300 chilometri in lunghezza della faglia, il terremoto doveva essere stato molto intenso.

Secondo Hetényi il nuovo studio va ora a completare la conoscenza di tutto l’arco himalayano e può servire a comprendere meglio la tettonica dell’intera regione.

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