Come era facilmente prevedibile, il bilancio delle vittime del sisma che ha colpito Siria e Turchia il 6 febbraio scorso si sta avviando a raggiungere numeri impressionanti, dell’ordine di decine e decine di milioni, tra vittime e dispersi; cifre spaventose, che – si pensa – siano destinati purtroppo a salire ancora.
Le riviste scientifiche spiegano che, al di là dell’intensità tanto elevata, i motivi alla base di queste morti sono soprattutto da ricercarsi nei numerosi crolli degli edifici, troppe volte costruiti con materiali non appropriati, con strutture fragili, eretti scriteriatamente da imprenditori senza scrupoli. Come si è potuto vedere anche dai numerosi servizi televisivi, le strutture portanti in cemento armato erano quasi sempre inesistenti e gli edifici hanno continuato a sbriciolarsi, letteramente, per giorni.
Nel mese di marzo dello scorso anno gli studiosi dell’Università di Ankara avevano ipotizzato che il centro della città di Gaziantep avrebbe di sicuro subìto gravissimi danni sotto l’effetto di un sisma di magnitudo 6.5 e questo perchè le abitazioni erano costruite in mattoni ed erette inoltre a distanze troppo vicine per poter evitare ‘effetti domino‘.
Una magnitudo tanto potente come quella espressa dai sismi del 9 febbraio non poteva che avere effetti catastrofici!
L’area interessata dall’evento, localizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), si estende tra la Turchia meridionale e la Siria settentrionale che, considerata la conformazione geologica del sottosuolo, con la presenza di faglie chilometriche convergenti, si sa non nuova a cataclismi di questo genere.
Si ricorda infatti che eventi sismici così distruttivi e significativi sono accaduti in quella stessa regione nell’ 859 d.C., nel 1124, nel 1513. L’ultimo, per il grado di magnitudo (7.4) e il numero delle vittime (stimato tra 20 e 60mila) è quello più simile al sisma del 6 febbraio scorso.
“Per l’esattezza, si sono verificati due eventi sismici”, precisa il prof. Alessandro Amato, del Centro Allerta Tsunami dell’INGV. “Il primo alle 02.17, ora italiana, di magnitudo 7.9, è stato causato dalla faglia est anatolica, quella orientata in direzione Nord-est – Sud-ovest, dalla costa fino ai pressi della città di Malatya, della lunghezza di 200 chilometri. In questo primo evento la placca anatolica si è spostata verso il Mar Egeo a Ovest, come conseguenza della spinta della placca arabica da Sud a Nord in un movimento trascorrente sinistro. Questo sisma ha causato uno spostamento di tre metri del blocco anatolico”.
Una seconda scossa si è verificata alle ore 11:24, ora italiana, con magnitudo 7.5 ed è stata attribuita, sostiene Amato, “inizialmente alla stessa faglia, ma in realtà è stato poi riconosciuta come interessante una seconda faglia orientata Est-Ovest, che forma un angolo acuto con la prima faglia. Questa seconda faglia potrebbe essere la faglia di Surgu, attivata per un centinaio di chilometri, in cui si sarebbe avuto un movimento trascorrente sinistro con un massimo locale in profondità di dieci metri”.
“L’attivazione di faglie adiacenti non è un evento atipico, ma un processo normale che viene definito dagli studiosi anche come epidemia sismica”, conclude il sismologo.
Per la precisione, le faglie trascorrenti sono fratture della crosta i cui labbri (o parti della frattura) vengono sottoposti a movimenti orizzontali. Se il movimento di una parte avviene verso la destra dell’osservatore posto sull’altra parte, si parlerà di faglia trascorrente destra, altrimenti si parlerà di faglia trascorrente sinistra.
“Anche se è normale che fratture di questo genere si formino a seguito di eventi sismici, è tuttavia insolito che due eventi di questa magnitudo si verifichino a poche ore di distanza uno dall’altro”, afferma Tim Wright, che conduce il team di studio del Centre for the Observation & Modeling of Earthquakes, Volcanoes and Tectonics (COMET) del Regno Unito.
“Il movimento delle placche tettoniche di questi terremoti ha prodotto fratture chiaramente visibili anche in superficie della larghezza di 5-6 metri”, aggiunge Milan Lazecky, altro ricercatore del COMET.
Secondo la NASA la linea di faglia si trova a 18 Km circa di profondità, un valore piuttosto basso, che spiega le grandi distanze che hanno potuto percorrere le onde superficiali e quindi l’ampiezza tanto rilevante.