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Il grande ritorno del Camoscio appenninico: 2000 individui in 5 colonie

Si conclude con successo il progetto LIFE quadriennale dedicato al Camoscio appenninico: incremento della popolazione totale, attualmente più di 2000 individui, e consolidamento e creazione di nuove colonie

Scritto da Federica di Leonardo il 19.06.2014

Sta terminando in queste ore a Lama dei Peligni nel Parco della Majella, il convegno internazionale a conclusione del progetto Life Coornata, dedicato al Camoscio appenninico, promosso dal Parco della Majella insieme a Legambiente e ai Parchi d’Abruzzo Lazio e Molise, dei Monti Sibillini, del Gran Sasso e Monti della Laga, del Sirente Velino.

Il progetto si è snodato lungo 4 anni e si concluderà a settembre. Positivi i risultati che hanno visto l’introduzione del camoscio nel Parco Regionale del Sirente Velino in Abruzzo, il consolidamento della consolidamento della colonia nel Parco dei Sibillini, e un incremento della popolazione nel Parco del Gran Sasso e in quello della Majella. Nel Parco d’Abruzzo, in cui il camoscio soffre di alcuni problemi anche sanitari, si sono studiate le criticità per la conservazione della popolazione. Ad oggi sull’Appennino centrale la popolazione, suddivisa in 5 colonie, conta circa 2000 individui. Un grande successo se si considera che all’inizio del ‘900 nell’area che poi sarebbe diventata il futuro Parco Nazionale d’Abruzzo sopravvivevano poco più di 30 esemplari di camoscio appenninico.

Camosci appenninici

Gaianews.it ha raggiunto Antonio Antonucci zoologo del Parco della Majella

D.: Quali erano gli obiettivi principali del progetto?

Antonio Antonnucci: Il progetto aveva alcuni filoni principali: uno di questi aveva come obiettivo la conclusione della reintroduzione nel Parco dei Sibiliini, che era già iniziata nel 2008, ma poi aveva avuto dei problemi dovuti al fatto che nel Parco d’Abruzzo, dove si effettuavano le catture degli animali che dovevano essere rilasciati, alcuni camosci sono morti durante l’anestesia. Per alcuni anni la reintroduzione è stata quindi bloccata. Con questo progetto abbiamo pensato di concludere la reintroduzione utilizzando come popolazioni sorgenti quelle del Parco del Gran Sasso e del Parco della Majella che dopo le reintroduzioni avvenute durante i primi anni ’90 avevano consolidato due popolazioni numericamente maggiori di quella del Parco d’Abruzzo e nelle quali quindi si potevano effettuare delle catture.
Un altro obiettivo era quello di iniziare la costituzione di una quinta colonia, così come previsto dal Piano Nazionale del Camoscio, che si sta consolidando al Sirente Velino. Sui Sibillini attualmente vivono oltre 60 camosci e al Parco del Sirente Velino abbiamo raggiunto la quota di 13 individui. Nei prossimi anni le catture continueranno in modo da raggiungere i 30 individui nel Parco del Sirente Velino.

Camoscio appenninico

D.: Da quello che si evince dal progetto sembrerebbe che al Parco Nazionale d’Abruzzo la popolazione sarebbe particolarmente minacciata da problematiche sanitarie. Come si stanno fronteggiando? Le stesse minacce insistono anche sulle popolazioni delle altre colonie?

A.A.: Come accennavo, i primi segnali si sono avuti con le morti durante le catture, ma successivamente dai censimenti si è potuto appurare che nella popolazione mancavano camosci giovani, soprattutto femmine giovani, questo perchè i nuovi nati, i camoscetti nati in primavera, non riuscivano a superare l’inverno, quindi le classi giovanili in questa popolazione sono cominciate a mancare. Questo è stato il campanello di allarme per studiare in dettaglio cosa stesse minacciando i camosci. In un documento presentato dal Parco d’Abruzzo, i colleghi hanno evidenziato diverse cause, fra cui la competizione con il bestiame domestico sia in termini di patologie che in termini di competizione trofica (cioè alimentare ndr.) e la competizione con il cervo, oltre a problemi legati ai cambiamenti climatici. Tutti questi fattori fanno sì che le femmine non si nutrano abbastanza, quindi non riescano ad allattare a sufficienza i piccoli, che quindi a loro volta non sono tanto forti da superare l’inverno. Il documento dà anche delle linee guida all’Ente Parco per risolvere i problemi che sono stati individuati.

Da un punto di vista sanitario abbiamo condotto delle indagini riscontrando un migliore stato di salute dei camosci al Gran Sasso e alla Majella. Per gestire il pericolo del contagio dalla vicinanza con il bestiame e migliorare lo stato sanitario del bestiame che pascola nelle stesse aree del camoscio, in tutti i Parchi tutti i capi di bestiame vengono vaccinati prima di andare al pascolo e sono state eseguite su di essi delle analisi di profilassi.

Camoscio appenninico

D:In questo progetto sono stati introdotti nuovi metodi di cattura. Perchè?

A.A.: I camosci appeninici nel Parco Nazionale d’Abruzzo sono stati sempre catturati con la teleanestesia, cioè con un anestetico sparato dal veterinario. Questo perchè i camosci in quel parco sono confidenti e perchè la conformazione dei luoghi lo consente. Negli altri parchi i camosci sono più diffidenti e le aree sono più impervie e scoscese. Inoltre era necessario catturare più camosci contemporaneamente e provenienti dallo stesso branco. Per questo abbiamo seguito degli stage in Spagna e sulle Alpi per imparare nuovi metodi di cattura con gabbie e reti particolari comandate a distanza. L’adozione di questi metodi  sulla popolazione di camoscio appenninico ha riscosso successo.

Ci tengo a sottolineare che al progetto hanno partecipato tutti i parchi in cui era presente il camoscio e abbiamo costituito un coordinamento anche con il Ministero dell’Ambiente e l’ISPRA. Abbiamo creato una banca dati in cui tutti i parchi possono inserire le proprie informazioni e condividerle. La banca dati è consultabile con diversi livelli di accessibilità: quindi anche il pubblico può consultare i dati sulle 5 colonie di camoscio appenninico.

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