I geni che predispongono al lupus non sono uguali per tutti gli esseri umani, ma possono cambiare in virtù del gruppo etnico di appartenenza. È quanto emerge da uno studio americano condotto presso l’Oklahoma Medical Research Foundation (OMRF), che si è avvalso della collaborazione di università e strutture di ricerca di Spagna, Taiwan, Corea del Sud, Colombia e Stati Uniti.
Il lupus è una malattia cronica autoimmune – i cui sintomi comprendono stanchezza, febbre, eruzioni cutanee e dolori articolari – e secondo The Lupus Foundation of America colpisce circa 1,5 milioni di americani, 9 volte su 10 donne.
Dopo tre anni di lavoro e un’analisi su vasta scala di 17.000 campioni genetici, i ricercatori sono riusciti a immobilizzare tre geni dotati di significatività statistica col rischio di sviluppare il lupus: si tratta dei geni IRF8 e TMEM39a, che si associano alla malattia nei pazienti euroamericani, afroamericani, Gullah (popolazione creola della costa sud-orientale degli Stati Uniti) e asiatici, e di un terzo gene, chiamato IKZF3, risultato significativo solo nei campioni di individui afroamericani ed europei-americani. “Abbiamo individuato anche altre 11 regioni genetiche che pensiamo potrebbero essere correlate al lupus, ma dobbiamo ancora esaminarle”, afferma Christopher Lessard , uno degli autori dello studio pubblicato sul Journal of Human Genetics.
“La collaborazione internazionale ha prodotto altre scoperte”, continua Lessard, “finora il progetto ha portato alla pubblicazione di 15 articoli e numerosi altri sono in preparazione. Il prossimo passo sarà lo studio dei geni per scoprire che ruolo hanno nello sviluppo della malattia”.
Secondo gli autori dello studio, l’identificazione e la caratterizzazione di questi fattori di rischio genetici nel lupus porterà indubbiamente a una migliore capacità diagnostica e terapeutica per questa complessa malattia, ma è indispensabile andare avanti con la ricerca per individuarne le cause e per mettere a punto trattamenti adeguati.