Gli ecosistemi del Medio Oriente ospitano un gran numero di specie uniche, incluse quelle da considerare le ‘antenate’ di molte colture utilizzate oggi nel mondo.
Eppure, il clima di questa regione è arido in maniera allarmante. Per ogni persona che vive lì, esiste la disponibilità di una piccola quantità d’acqua e per il futuro è previsto che ce ne sia ancora meno.
La crescente carenza idrica, messa soprattutto in relazione con la diminuzione delle piogge, comprometterà gli ecosistemi e parecchie specie importanti rischieranno di non sopravvivere.
Piante mediorientali che resistono ai cambiamenti climatici (crediti: Wikipedia)
Katija Tielborger, docente di Ecologia delle Piante presso l’Università di Tubinga, ha effettuato una serie di esperimenti a lungo termine per verificare quanto questa previsione sia vicina ad avverarsi.
Per nove anni, una zona ricca di vegetazione è stata sottoposta ad un severo regime di aridità, un regime come si immagina debba verificarsi in futuro. Su quattro ecosistemi in esame sono state distribuite precipitazioni d’acqua in scala crescente, partendo da condizioni d’aridità simili al deserto, con soli 90 mm annui di pioggia, per arrivare agli 800 mm annui, condizioni superiori alla medie mediterranee.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Communications.
Contro ogni aspettativa, lo studio ha sorprendentemente rivelato che gli ecosistemi, alla variazione delle precipitazioni, hanno risposto con reazioni a malapena misurabili.
Nonostante i nove anni di aridità accentuata e i nove anni di quantità d’acqua abnormi cui sono state sottoposte le colture, è stata notata una reazione molto attenuata sulla diversità o sulla composizione delle specie, sulla loro concentrazione o sulla biomassa, che è fondamentale per la crescita dei pascoli.
“La conclusione è che dobbiamo rivedere l’opinione comune, in campo scientifico, che le regioni aride siano particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici”, afferma la Tielborger, autore principale dello studio.
Sembrerebbe che questi ecosistemi siano in possesso di qualche meccanismo auto-conservatore, sistemi che servano per proteggere le specie.
In effetti, ricordiamo che, in ecologia, si definisce ‘resilienza di un ecosistema’ la capacità dello stesso ecosistema di tornare al suo stato iniziale dopo una perturbazione che ne ha disturbato l’assetto.
Riguardo la vegetazione medio-orientale, i ricercatori spiegano che l’alto livello di resilienza di questi ecosistemi è dovuto alla grande variabilità naturale di precipitazioni nella regione, una sperimentazione, in parole povere, che avviene naturalmente, per cui tollerano agevolmente anche un 30 per cento in meno di precipitazioni annue.
I cambiamenti climatici previsti – tra cui una diminuzione delle precipitazioni del 30 per cento – non hanno arrecato quindi particolare disagio.
Con il nuovo metodo di indagine, fatto a cielo aperto, di più lunga durata e con un controllo su un maggior numero di specie, i risultati ottenuti gettano una luce più ottimistica delle previsioni fatte finora sugli effetti dei cambiamenti climatici., anche se rimane valido solo per gli ecosistemi studiati dalla Tielborger, che intende però puntualizzare: “I nostri risultati non intendono banalizzare gli effetti dei cambiamenti climatici, ma sono importanti per aiutare quanti vogliano investire in adattamenti ai cambiamenti nei posti giusti”.
Concludendo, pare proprio che, a fronte del riscaldamento globale, gli ecosistemi del Medio Oriente siano meno in pericolo di quanto si pensasse.