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Ebbasta!

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 25.08.2014

Talvolta, forse spesso, mi capita di pensare a quanta vita sofferente c’è nel mondo e anche intorno a me.

Mi capita di pensare che sono stanca di preoccuparmi per tutti.

Che sono stanca di combattere lotte, quasi sempre donchisciottesche, per i diritti degli altri, dei deboli, degli indifesi.

Mi sono detta che sono una fanatica. Ed è vero, sono una fanatica della felicità altrui. Per essere un po’ più serena io!

Non ce la si può fare a stare dietro a tutto. Io non ce la posso fare.

Vorrei non sapere cos’è la compassione, vorrei una scorza dura che mi avvolga, vorrei occhi che non vedono e un cuore che sta ranicchiato in se stesso. Anche lui cieco.

Talvolta la tregua di serenità mi fa sentire in colpa e in colpa mi fa sentire occuparmi di quel dolore e non di un altro, che forse è più grave, ma più lontano.

Di fronte a tutto questo ci sono tre vie:

1. il martirio: perché soffrire allevia il senso di colpa;

2. la santità, l’abnegazione totale verso Dio che dia un senso al dolore;

3. la leggerezza.

Io scelgo la terza via, se posso, e per questo proponendo a tutti questa poesia di Wislawa Szymborska, un capolavoro di profondità, amore, poesia e, appunto, leggerezza.

Sotto una piccola stella

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.

Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.

Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.

Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.

Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.

Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.

Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.

Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.

Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.

Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.

Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.

Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.

E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,

immobile, con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,

assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.

Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.

Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.

Verità, non prestarmi troppa attenzione.

Serietà, sii magnanima con me.

Sopporta, mistero dell’esistenza, se tiro via fili dal tuo strascico.

Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.

Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.

Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.

So che finchè vivo niente mi giustifica,

perché io stessa mi sono d’ostacolo.

Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,

E poi fatico per farle sembrare leggere

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