Un team internazionale, del quale facevano parte alcuni ricercatori dell’Università di Liverpool, ha scoperto che la parte sud-orientale dell’Islanda è costituita da crosta continentale.
Finora era universalmente accettata la teoria che l’Islanda fosse formata interamente da crosta oceanica. Ora, questa teoria sembra dimostrarsi non corretta.
Mappe dello spessore della crosta terrestre, riprodotte a seguito di misurazioni satellitari della gravità, insieme ad accurate analisi geochimiche e alla ricostruzione dell’interazione tra le placche terrestri e i pennacchi caldi risalenti dal mantello, hanno consentito di dimostrare che la parte meridionale dell’Islanda orientale risulterebbe formata da crosta continentale, che va estendendosi poi ad est, verso il mare aperto.
La crosta è l’involucro più esterno della Terra, che poggia direttamente sul mantello. Si distinguono due tipi di crosta, la litosfera continentale e la litosfera oceanica, caratterizzate da distinti processi geologici di formazione e da caratteristiche fisico-chimiche molto differenti.
La prima ha uno spessore medio di 35 chilometri (variabile dai 10 ai 70 Km), è ubicata sotto i continenti e le rocce che la formano hanno una bassa densità, che cresce però con la profondità.
La composizione varia da rocce più superficiali meno dense, prevalentemente sedimentarie, ignee e metamorfiche di tipo granodioritico, a rocce ignee e metamorfiche profonde più pesanti, rappresentate da anfiboliti, eclogiti e gabbri.
L’età varia tra 0 e 4,2 miliardi di anni.
La crosta oceanica ha uno spessore di 8-10 chilometri, è sottostante i bacini oceanici ed ha una densità maggiore di 3 g/cm3 e una composizione di tipo basaltico, una struttura stratificata e un chimismo relativamente uniforme. La sua età non è più antica di 200 milioni di anni, dal momento che viene continuamente subdotta nel mantello.
Il prof. Nick Kusznir della Facoltà di Scienze Ambientali, che ha riprodotto i dati del satellite, afferma: “Secondo la teoria consolidata, le caratteristiche geologiche tipiche dell’Islanda, nota per essere un plateaux oceanico, sono generate dall’interazione tra l’espandimento sul fondale marino di materiale magmatico proveniente dalla dorsale medio-oceanica e la risalita di materiali caldi dal mantello terrestre.
I nostri risultati ipotizzano che, in questo processo di formazione, sia entrato un altro fattore fondamentale, cioè la presenza di frammenti di crosta continentale. Questa scoperta ha importanti implicazioni per il modo in cui si comporterebbero i pennacchi provenienti dal mantello in quei punti particolari chiamati ‘hot spot’, interagendo con le placche in movimento”.
La mappatura della crosta sotto il sud-est dell’Islanda mostra uno spessore di 30 chilometri, che è più tipico della crosta continentale rispetto alla sottile crosta oceanica esistente al di sotto del resto dell’isola e dei bacini oceanici circostanti.
La spessa crosta di questa parte di Islanda che si estende in mare aperto viene interpretata come un frammento di crosta continentale che originariamente faceva parte del microcontinente di Jan Mayan, da cui si separò durante la formazione del nord-est Atlantico, negli ultimi 55 milioni di anni.
Della gigantesca frattura, che si estende in direzione sud ovest-nord est, si può vedere oggi la porzione emergente dell’isola vulcanica Jan Mayan, formatasi 700mila anni fa proprio sul punto caldo a nord est dell’Islanda.
Secondo Kusznir le caratteristiche tettoniche di zone come l’Islanda, date dall’interazione dei pennacchi del mantello con la frammentazione di microcontinenti, sono abbastanza comuni nel mondo. Le Isole Mauritius nell’Oceano Indiano, il Rio Grande nel Sud Atlantico e le Isole Canarie nell’Atlantico centrale costituiscono solo qualche esempio.
“Questa scoperta è importante non solo per studiare la geo-dinamica. I risultati ottenuti hanno implicazioni anche per le risorse naturali di queste regioni, dal momento che la crosta continentale ha una composizione molto diversa dalla crosta oceanica ed è molto più ricca di risorse naturali”, dice lo scienziato.
La mappatura della crosta terrestre con l’uso della metodologia di inversione della gravità da satellite è stata sviluppata dal professor Kusznir per localizzare la transizione tra la crosta continentale e oceanica e i microcontinenti, e definire così eventuali rivendicazioni territoriali, ma viene anche ampiamente utilizzata nel settore degli idrocarburi per le esplorazioni in profondità.