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I granchi reali minacciano gli ecosistemi antartici

Scritto da Leonardo Debbia il 07.10.2015

Secondo un recente studio condotto dall’Institute of Technology della Florida, i granchi reali potrebbero presto diventare dei predatori di una certa rilevanza negli ecosistemi marini antartici, dove finora, per decine di milioni di anni, non erano mai stati presenti.

Ne dà avviso, con un articolo pubblicato on line, la rivista Proceedings of the National Academy of Science, collegando la comparsa di questi granchi nelle acque antartiche con il riscaldamento globale.

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La paventata invasione dei granchi reali a seguito dell’aumentata temperatura dei mari Antartici potrebbe modificare radicalmente l’habitat della piattaforma continentale. Crediti: Richard B.Aronson e James B. McClintock

Il granchio reale o granchio blu (Callinectes sapidus) è un crostaceo di 10 cm di lunghezza per 20 di larghezza, originario della sponda occidentale atlantica, diffuso in pratica lungo tutte le coste del continente americano, dalla Nuova Scozia all’Argentina, essendo in grado di tollerare salinità inferiori al tre per mille.

Richard Aronson, docente presso il Dipartimento di Scienze Biologiche dell’Institute of Technology della Florida, nonchè autore principale dello studio, afferma che l’aumento della temperatura del mare ad ovest della Penisola Antartica – una delle aree del pianeta che si riscaldano più rapidamente – potrebbe consentire alle popolazioni di granchi reali di poter trasferirsi, entro i prossimi decenni, dal loro attuale habitat di acque profonde alle acque basse della piattaforma continentale.

I ricercatori non hanno trovato ostacoli o barriere, quali livelli di salinità, tipologia di sedimenti sui fondali marini o scarse risorse alimentari che, in caso l’acqua divenisse sufficientemente calda, potessero impedire ai crostacei-predatori di raggiungere la piattaforma continentale.

L’arrivo avrebbe, ovviamente, un impatto enorme sull’ecosistema locale.

“Dato che le faune già esistenti sulla piattaforma continentale si sono evolute al riparo da pericoli quali la distruzione delle conchiglie ad opera di predatori, qualora i granchi riuscissero a raggiungere l’area costiera, si rischierebbe la ristrutturazione radicale dell’ecosistema”, afferma Aronson.

Va sottolineato che lo studio fornisce comunque dei dati provvisori e indiziali. Costituiscono, quindi, solo la previsione di un avvenimento, che in realtà potrebbe anche non accadere. Di per sé, lo studio non dimostra che le popolazioni di granchi colonizzeranno sicuramente le acque poco profonde della piattaforma.

“L’unico modo per verificare l’ipotesi che i granchi si stiano espandendo è quello di monitorare i loro movimenti attraverso l’osservazione continua dei loro spostamenti sul lungo termine”, dice James McClintock, della University of Alabama, a Birmingham (UAB), altro autore dello studio.

Nell’estate antartica 2010-2011, durante la ricerca finanziata dalla National Science Foundation (NSF), il team utilizzò una macchina fotografica subacquea mobile per documentare per la prima volta una popolazione riproduttiva di granchi che si muovevano sul versante continentale della Penisola antartica occidentale, al largo di Marguerite Bay, un’area di poche centinaia di metri più profonda della piattaforma continentale, dove fiorisce il delicato ecosistema.

“L’effetto complessivo della migrazione dei granchi reali verso acque meno profonde sarebbe quello di trasformare l’unico ecosistema antartico, rendendolo molto più simile ad altri ecosistemi in altre aree del globo, un processo che gli ecologi definiscono omogeinizzazione biotica”, spiega Kathryn Smith, dell’Institute of Technology della Florida.

Queste modifiche – concludono i ricercatori – potrebbero cambiare profondamente l’ecosistema mare-terra in Antartide, diminuendo a livello globale la diversità degli ecosistemi marini.

I dati utilizzati nell’articolo sono stati raccolti nel corso di una spedizione congiunta in Antartide, gestita dalla NSF e dal Segretariato Svedese per la Ricerca Polare.

La spedizione comprendeva scienziati provenienti dal Florida Tech, da UAB, da Woods Hole Oceanographic Institution, dall’Università di Goteborg, in Svezia e dall’Università di Southampton, nel Regno Unito.

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