Da alcuni ricercatori dell’Università di Sidney, Australia, è stata proposta una nuova interpretazione della fase di avviamento che avrebbe portato al movimento delle enormi placche tettoniche di cui è formata la crosta terrestre.
“La Terra è l’unico pianeta del sistema solare in cui si verifica il processo della tettonica delle placche”, ha esordito il professor Patrice Rey, geologo e geofisico della Scuola di Geoscienze presso l’Università australiana. “Gli eventi geologici e le tracce di cui possiamo disporre suggeriscono che fino a tre miliardi di anni fa la crosta terrestre fosse statica, finchè ‘qualcosa’ dette il via a questo fenomeno, unico nel nostro sistema solare, che sta affascinando da decenni gli studiosi di Scienze della Terra di tutto il mondo.
Dal nostro punto di vista, ipotizziamo che questo fenomeno sia stato innescato dalla espansione dei primi continenti e quindi sia divenuto un processo autosufficiente, cui non servivano altri fattori per poter proseguire”.
L’articolo relativo alla ricerca è stato pubblicato su Nature di metà settembre.
Allo studio hanno collaborato Nicolas Flament, geofisico, studioso del mantello terrestre, appartenente alla stessa Scuola di Rey e Nicolas Coltice, docente di Geologia dell’Università di Lione, in Francia.
La crosta terrestre è formata da otto grandi placche che si muovono sul mantello, galleggiandovi sopra alla velocità di 150 millimetri all’anno.
In parole povere, le placche vengono trascinate o spinte sul mantello in alcune zone, mentre si allontanano fra loro in altre, in un movimento che, procedendo tra collisioni e allontanamenti, è stato paragonato a quello di un “nastro trasportatore’.
Il fenomeno è strettamente connesso alla relazione inversa tra la densità delle rocce e la loro temperatura.
Sulle dorsali oceaniche – le grandi catene che emergono dai fondali oceanici tra due o più continenti – le rocce, provenienti dalla solidificazione di materiale ascendente dal mantello, sono calde e la loro densità è bassa, fattori che consentono loro di ‘galleggiare’- o per meglio dire scorrere – sulle rocce del substrato, già precedentemente consolidatosi.
Allontanandosi dalla dorsale, le rocce si raffreddano e la loro densità aumenta progressivamente fino a quando, allorché incontrano una zona del mantello sottostante, più calda a causa delle correnti convettive ascensionali, dove vengono nuovamente ‘trascinate’ verso il basso, affondando nel mantello.
Questo è il processo, iniziato milioni di anni fa e che avviene tuttora.
Ma 3-4 miliardi di anni fa l’interno della Terra era più caldo di oggi, l’attività vulcanica era maggiore e le rocce costituenti le placche tettoniche – secondo logica – non avrebbero potuto diventare sufficientemente fredde e dense per sprofondare nel mantello.
“Mancava la causa del movimento, il ‘motore trainante’ perché potesse verificarsi il fenomeno della tettonica della placche”, ha affermato il professor Rey. “Invece, probabilmente i primi continenti ‘galleggianti’ nacquero da placche immobili, ferme. Una nostra modellazione eseguita in laboratorio mostra che questi continenti primitivi avrebbero potuto esercitare enormi spinte sulle placche circostanti e, acquistando una certa mobilità, si sarebbero presto espansi in movimenti orizzontali, costringendo le placche adiacenti a scorrere sopra o sotto i loro margini”.
“Questa espansione dei continenti primigeni avrebbe potuto produrre episodi intermittenti di tettonica a placche, fino a quando, con il progressivo raffreddamento dell’interno terrestre e con la maggior densità che la crosta e il mantello andavano via via acquistando, la tettonica delle placche potè diventare un processo autosufficiente, senza bisogno di altri fattori, che non è mai cessato e che ha plasmato la faccia attuale della nostra Terra”.