Paul Yancey, professore di Biologia del Whitman College di Walla Walla, Washington, insieme ad altri due ricercatori, Anna Downing e Chloe Weinstock, hanno recentemente compiuto uno studio dettagliato della Fossa delle Marianne, condotto a bordo della nave da ricerca Falkor per conto dello Schmidt Ocean Institute, la fondazione di ricerca oceanografica californiana.
Immagine del pesce individuato nella Fossa delle Marianne (crediti: SOI / HADES)
Nella Fossa delle Marianne, situata nel Pacifico occidentale in vicinanza dell’Isola di Guam, tra i 10898 e i 10816 metri sotto il livello del mare, si trova il Challenger Deep, il punto più profondo della Terra.
La spedizione di Yancey, che aveva l’obiettivo di esplorare la Fossa, cercando di individuare le eventuali comunità di organismi animali, è riuscita a portare a casa anche nuovi record, tra cui campioni della roccia più profonda mai raccolta prima e la scoperta di una nuova specie di pesce vivente a quelle profondità.
Per l’Hadal Ecosystem Studies (HADES) – questo il nome dato alla ricerca – è stato utilizzato un nuovo veicolo per acque profonde, un ‘lander’ studiato specificamente per profondità comprese tra 5 e 10mila metri.
Anziché concentrarsi esclusivamente sul punto più profondo della Fossa, i ricercatori hanno indagato sull’interazione tra la biologia e i processi geologici nell’intera zona adopelagica ossia la zona delle fosse oceaniche, il dominio pelagico che si estende dai 6000 metri in giù, dove l’assenza di luce e l’enorme pressione creano condizioni ostili per gli organismi viventi.
I risultati non sono mancati. E’stata individuata, infatti, una nuova specie che fornirà maggiori indicazioni sugli adattamenti fisiologici della vita animale in ambienti così estremi.
Le analisi conclusive della ricerca sono state, comunque, effettuate dal professor Yancey, nel proprio laboratorio presso il Whitman College of Biology, lo stesso in cui, in precedenza, lo stesso Yancey, lavorando con i suoi studenti su animali di profondità più modeste, aveva scoperto alcune molecole organiche che proteggono le cellule degli animali di acque profonde dagli effetti dell’alta pressione, che distorce le proteine; come, per esempio, gli enzimi.
Questi tipi di molecole protettive sono già in fase di sperimentazione nel campo della ricerca medica per il trattamento di malattie dell’uomo causate da proteine malformate, come nel caso della fibrosi cistica.
Stando allo studio di queste molecole protettive, era emerso che i pesci non sarebbero stati in grado di vivere al di sotto di 8200 metri; e in effetti, prima di questa spedizione, la profondità massima documentata a cui era stato individuato un pesce era di 7700 metri.
“In questa nuova ricerca, abbiamo voluto verificare se realmente queste molecole aiutano gli animali a vivere alle massime profondità, come i 10mila metri della Fossa delle Marianne”, afferma Yancey. “In una prima analisi sugli anfipodi, crostacei molto importanti nella catena alimentare, che abbiamo prelevato ad 8000 metri di profondità, nella Fossa di Kermadec, vicino alla Nuova Zelanda, un’altra biologa, Gemma Wallace, ha scoperto la presenza di alti livelli di una molecola potenzialmente protettiva, lo scillo-inositolo, uno zucchero naturale che di norma si trova nelle palme da cocco e che è stata testata da parte di ricercatori medici nel trattamento, come terapia modificante, di proteine malformate ritenute responsabili del morbo di Alzheimer”.
La spedizione ha raggiunto diversi obiettivi, infrangendo anche qualche record, quali la scoperta di un pesce mai avvistato prima – ancora non riconosciuto come specie a sé stante, ma di aspetto alquanto particolare – che si è presentato provvisto di larghe pinne e coda trasparenti che, ricordando i modi di una anguilla, strisciava lentamente sul fondo, a 8143 metri.
Inoltre, con il prelevamento di campioni di roccia dalle pareti della fossa – roccia prodotta dalle prime eruzioni vulcaniche dell’arco insulare delle Marianne – si presume di poter sicuramente desumere informazioni significative sia sulla stratigrafia che sulla tettonica del sistema delle fosse.
“Raramente si raggiungono obiettivi così importanti dagli ambienti profondi”, afferma Wendy Schmidt, vicepresidente dello Schmidt Ocean Institute, che è pienamente soddisfatta dei risultati. “Ora, gli scienziati potranno capire meglio le caratteristiche del mare molto profondo che, nonostante tutto, non è esente dall’impatto umano”.