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Continuità genetica tra gli asiatici orientali e i cacciatori dell’Età della pietra

Scritto da Leonardo Debbia il 06.03.2017

Da una nuova ricerca si apprende che, contrariamente agli europei centrali e occidentali, gli attuali abitanti dell’Asia orientale sono geneticamente molto vicini agli antichi cacciatori-raccoglitori che vivevano in quelle stesse regioni ottomila anni prima.

I ricercatori hanno analizzato il DNA antico, estratto da resti umani di quasi 8000 anni fa rinvenuti in una grotta della Russia orientale, scoprendo che la composizione genetica di quei resti somiglia  a quella di alcune popolazioni asiatiche orientali moderne che vivono nella stessa regione.

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Esterno della ‘Porta del Diavolo’, la caverna nella regione di Primorye, a circa 30 chilometri dalla costa orientale della Russia, dove sono stati rinvenuti i resti umani da cui è stato estratto l’antico DNA (credit: Yuriy Chernyavskiy)

Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, è il primo che è riuscito ad analizzare il genoma nucleare delle antiche popolazioni di cacciatori-raccoglitori di quella parte di Asia orientale ed a confrontare i dati ottenuti con le popolazioni attuali.

I risultati indicano che per circa ottomila anni quella regione non è stata interessata da alcuna grande migrazione e di conseguenza alcuni gruppi etnici contemporanei mantengono una notevole somiglianza genetica con i cacciatori dell’Età della pietra che un tempo vagavano per le stesse terre.

L’elevata ‘continuità genetica’ in Asia orientale è in netto contrasto, come già accennato, con l’Europa centrale e occidentale, dove invece i continui flussi migratori dei primi agricoltori provenienti dal Levante sopraffecero i preesistenti gruppi di cacciatori-raccoglitori, aprendo la strada alla successiva ondata di genti a cavallo che giunsero dall’Asia centrale durante l’Età del bronzo.

Questi eventi interessarono l’Europa centro-occidentale probabilmente sull’onda lunga del successo di tecnologie emergenti, quali l’agricoltura e la metallurgia.

La nuova ricerca dimostra che, almeno una parte dell’Asia orientale ebbe una storia diversa, con scarsissime interruzioni genetiche nei gruppi etnici, anche risalendo al periodo Neolitico.

Questa stasi delle migrazioni consentì una ‘vicinanza genetica’ eccezionale, anche se intervallata dal lungo periodo di tempo, tra la popolazione indigena Ulch – che vive nel bacino Amur, vicino ai confini della Russia con Cina e Corea del Nord, purtroppo in via d’estinzione – e gli antichi cacciatori-raccoglitori oggetto di questo studio, i cui resti provengono da una grotta vicina alla terra degli Ulch.

I ricercatori ipotizzano che la vastità dell’Asia orientale e le drammatiche condizioni del clima abbiano potuto essere il serio ostacolo all’influenza dell’agricoltura neolitica e alle migrazioni che sostituirono i cacciatori-raccoglitori in gran parte d’Europa, sottolineando che gli Ulch hanno mantenuto il loro stile di vita di cacciatori-raccoglitori fino a tempi recenti.

“Dal punto di vista genetico, le popolazioni di tutto il nord-est asiatico hanno cambiato molto poco, in ottomila anni”, commenta Andrea Manica, autore senior dello studio, che ha condotto la ricerca con un team internazionale, composto dai colleghi dell’Ulsan National Institute of Science and Technology della Corea del Sud e dagli irlandesi del Trinity College e dell’University College di Dublino. “I locali Ulch e gli antichi cacciatori-raccoglitori sembrano, dal punto di vista genetico, quasi la stessa popolazione, anche se li separano migliaia di anni”.

Il nuovo studio fornisce anche un ulteriore sostegno alla teoria della ‘duplice origine’ delle moderne popolazioni giapponesi, secondo la quale queste discenderebbero da una combinazione di cacciatori-raccoglitori e di agricoltori a cui sarebbe riconducibile l’introduzione dalla Cina meridionale della coltivazione del riso bagnato.

Un modello simile lo si potrebbe ravvisare anche nei vicini coreani, geneticamente molto simili ai giapponesi.

Tuttavia, Manica sostiene che, per individuare la sicura origine degli agricoltori coinvolti in questo mix di popoli, sono necessari molti più dati del DNA del Neolitico cinese.

Per questo studio, i ricercatori hanno provveduto ad estrarre il DNA dai resti umani della grotta conosciuta come ‘Porta del Diavolo’.

Situata in una zona montuosa vicina alla costa orientale della Russia che si affaccia a nord del Giappone, la grotta era stata già visitata da antropologi sovietici nel 1973.

Insieme a centinaia di strumenti di pietra e d’osso, al legno carbonizzato di una rudimentale capanna e alla copertura di erba selvatica, giacevano i corpi incompleti di cinque esseri umani.

I campioni migliori di DNA soni stati ottenuti dai crani di due femmine; una poco più che ventenne, l’altra vicina ai cinquant’anni.

Il sito risale a più di 9000 anni fa, ma si stima che le due donne siano morte intorno ai 7700 anni fa.

I dati più completi si sono avuti dalla donna di mezz’età, il cui DNA ha rivelato che probabilmente aveva occhi marroni e capelli folti e lisci. Si è scoperto che era quasi certamente intollerante al lattosio e che non doveva aver sofferto della reazione cutanea all’alcool, comune ora alle popolazioni asiatiche e dovuta ad una scarsa presenza nel fegato dell’alcool-deidrogenasi, un enzima che neutralizza le molecole di alcool etilico.

Questi campioni mostrano un’alta affinità genetica con gli Ulch, i pescatori della stessa regione che parlano la lingua Tungusic, ma potrebbero considerarsi simili anche ad altri gruppi etnici che parlano Tungusic nella Cina di oggi, quali Oroqen e Hezhen.

“Si tratta di etnie con tradizioni e radici profonde, viventi nella Russia orientale ed in Cina, il cui numero, cultura e lingua stanno rapidamente diminuendo”, aggiunge Veronica Siska, studiosa di Cambridge. “Il nostro lavoro suggerisce che questi gruppi formino un forte lignaggio genetico discendente direttamente dai primi cacciatori-raccoglitori che abitavano le stesse regioni migliaia di anni prima”.

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