Secondo gli scienziati della UC Irvine e altri ricercatori, l’inquinamento atmosferico che viaggia nell’aria attraversando il Pacifico e investe le coste degli Stati Uniti, sarebbe dovuto alla produzione di beni e merci destinati ai mercati occidentali, Stati Uniti appunto, ma anche Europa.
Sono questi i risultati al centro dello studio, recentemente pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences, che misura l’inquinamento che, partendo dalla Cina, tocca la West Coast: “Abbiamo dato in outsourcing la produzione e gran parte del nostro inquinamento – ha spiegato lo scienziato dell’Università della California Irvine Steve Davis, ma purtroppo parte di esso ritorna indietro per perseguitarci, viaggiando con l’aria attraverso il Pacifico. Questo documento, a conferma proprio delle numerose lamentele che si susseguono sull’inquinamento atmosferico che la Cina “esporterebbe” per la produzione telefoni cellulari, televisori e altri oggetti di consumo, evidenzia un bel po’ di responsabilità della Cina in tal senso”.
È evidente che la Cina non possa rappresentare il principale colpevole dell’inquinamento negli USA, perché innegabilmente che l’impatto delle automobili, dei camion e delle raffinerie statunitensi ne generano molto di più. Ma è altrettanto inequivocabile che i forti venti conosciuti con il nome di “occidentali” riescano a veicolare nell’aria le sostanze chimiche e, superando i confini naturali, percorrere l’oceano in pochi giorni, specialmente in primavera, producendo picchi d’inquinamento pericolosi per la salute della popolazione e per l’ambiente.
In questo modo in California e in altri Stati occidentali si andrebbero a riversare polvere, ozono e carbonio provenienti da altre zone del pianeta e a sommarsi a quelle prodotte sul territorio. Il carbone nero, poi, rappresenta un vero problema perché non viene lavato dall’atmosfera con la pioggia riuscendo a persistere sulle lunghe distanze. Anch’esso sarebbe responsabile di una serie di problemi di salute, dall’asma al cancro, dall’enfisema alle malattie cardiache e polmonari.
Un esempio su tutti: la città di Los Angeles avrebbe registrato almeno un giorno in più all’anno di smog che eccede i limiti federali di ozono dovuto alla presenza di ossidi di azoto e monossido di carbonio provenienti dalle fabbriche cinesi destinate alla produzione beni per l’esportazione. Negli altri giorni, sulla costa occidentale degli Stati Uniti circa un quarto dell’inquinamento da solfato è legata alle esportazioni cinesi.
Gli autori di questo studio suggeriscono, quindi, di impiegarne i risultati per negoziare più efficacemente trattati per l’aria pulita: “La cooperazione internazionale, per limitare l’inquinamento atmosferico di paesi terzi, deve affrontare la questione della responsabilità di emissioni in un paese durante la produzione di beni per sostenere i consumi in un altro”.
D’altro canto la Cina sta cercando sempre di più di migliorare l’immagine di mostro ecologico che ha assunto negli ultimi decenni purché non leda la propria crescita economica . La Repubblica Popolare Cinese è, infatti, il più grande mercato energetico mondiale destinato a raddoppiare entro il 2030, secondo la Bloomberg New Energy Finance. Il consumo di carbone è circa la metà di quello mondiale, con le ripercussioni negative di un’ingente produzione di anidride carbonica e del triste primato cinese per l’emissione di gas serra. Ciò è dovuto in prevalenza all’inefficienza di molti impianti industriali, che talvolta producono sostanze tossiche di 10 volte maggiori rispetto ai limiti. Aumento dei controlli ed investimenti consistenti (275 miliardi di dollari in un piano quinquennale anti-inquinamento) sono stati i primi provvedimenti adottati, ma non gli unici. La corsa alle rinnovabili, seppur con le dovute cautele: se per l’eolico la Cina è stata il maggiore installatore nel 2013, per quanto riguarda l’idroelettrico l’ingente costruzione di dighe sta impattando in maniera evidente sull’ambiente e il solare è destinato quasi esclusivamente all’esportazione.