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Scoperto sulla Luna un processo vulcanico ‘unico’

Scritto da Leonardo Debbia il 21.10.2015

Secondo una recente ricerca condotta da due geologi della Brown University del Rhode Island, una sorta di collina gigante osservata sulla faccia nascosta della Luna, nelle vicinanze del polo sud lunare sembrerebbe essere una struttura vulcanica, ma molto differente da qualsiasi altra mai vista prima sulla superficie del nostro satellite.

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Veduta topografica del Bacino Polo Sud-Aitken. In rosso, si notano creste e protuberanze; in blu, bacini e avvallamenti. La Mafic Mound (area rossastra al centro) si eleva 800 metri al di sopra della superficie circostante. Crediti: NASA / Goddard / MIT / Brown

La formazione, conosciuta come Mafic Mound, si erge per circa 800 metri in altezza e si estende per 75 chilometri nel centro di un gigantesco cratere da impatto meteoritico, della larghezza di 2500 chilometri, conosciuto come Bacino Polo Sud-Aitken.

Questo nuovo studio suggerisce che questa formazione sia il risultato di un singolare tipo di attività vulcanica, scatenata dal colossale impatto che dette origine al bacino.

“Se gli scenari ipotizzati sono corretti, potremmo essere in presenza di un processo vulcanico totalmente nuovo, mai osservato prima”, afferma Daniel Moriarty, ricercatore del Dipartimento della Terra e di Scienze Planetarie presso la Brown University, autore principale dello studio.

La ricerca compare su Geophysical Research Letters, una pubblicazione della American Geophysical Union.

Il Mafic Mound (collina o montagna mafica) – il cui l’aggettivo ‘màfico’ in Petrografia si riferisce a rocce ricche di minerali di magnesio (ma) e ferro (f), quali pirosseno e olivina – è stato scoperto nel 1990 da Carle Pieters, geologo planetario presso la Brown e consulente di Moriarty.

Il fatto curioso, al di là delle notevoli dimensioni, è la composizione mineralogica della formazione, ricca di pirosseno ad elevato contenuto in calcio, molto diversa dalla roccia circostante che ha un contenuto di calcio molto basso.

“Ci paiono ovvie le domande che ne scaturiscono. Che struttura è questa? Cosa ha a che fare con il resto del bacino?”, si interroga Moriarty.

Per svolgere le opportune indagini, Moriarty e Pieters hanno quindi esaminato un’abbondante serie di dati provenienti dalle più svariate missioni di esplorazione lunare, utilizzando le analisi dettagliate del Moon Mineralogy Mapper, l’apparecchiatura di rilevamento della sonda indiana Chandrayaan-1, i dati topografici forniti dal Lunar Orbiter Laser Altimeter della NASA e le misurazioni delle anomalie gravitazionali della regione effettuate dalla missione GRAIL.

Combinando insieme questa mole di dati, si giunge a concludere che il Mafic Mound non può che essere opera di uno dei due processi vulcanici, davvero ‘unici’, che potrebbero essere stati avviati dal gigantesco impatto che ha prodotto il Polo Sud-Aitken.

Secondo alcuni, un impatto di quella portata avrebbe generato un calderone di roccia fusa di 50 chilometri di profondità, una struttura che, una volta raffreddata e cristallizzata, si sarebbe poi ridotta, solidificandosi gradualmente dai bordi verso il centro e, rimanendo fusa per molto tempo, si sarebbe comportata come un ‘dentifricio che fuoriesce da un tubetto’, per usare l’esempio proposto dai due ricercatori.

Alla fine, il materiale eruttato avrebbe quindi potuto benissimo generare il Mafic Mound, la cui evoluzione mineralogica troverebbe così un’ottima spiegazione.

Modelli di formazione analoghi suggeriscono che il materiale coinvolto doveva essere ricco in pirosseno ed elevato contenuto di calcio, coerente con la composizione mineralogica osservata.

Viene ipotizzato anche un secondo scenario che questa volta vedrebbe coinvolto il mantello lunare.

Secondo questa ricostruzione, a seguito dell’impatto e della frantumazione di tonnellate di roccia del bacino, si sarebbe formata un’area a bassa gravità, una condizione che avrebbe consentito alla parte centrale del bacino di rimbalzare verso l’alto, provocando una fusione parziale di materiale del mantello che a sua volta sarebbe scoppiato e avrebbe generato il Mafic Mound.

Entrambi i due scenari concorderebbero con la serie dettagliata di dati raccolti e ciascuno dei due sarebbe comunque un evento ‘unico’, assicura Moriarty.

Il bacino rappresenta un obiettivo ideale per una missione di scienziati lunari.

“Si tratta della più grande struttura da impatto osservata nel Sistema solare e ha plasmato diversi aspetti dell’evoluzione della Luna”, afferma Moriarty. “E’ un ottimo argomento di studio per la scienza lunare e per gli effetti che può aver avuto nel tempo sulla geologia della Luna”.

Una missione in quell’area potrebbe portare sulla Terra pezzi del mantello lunare, la cui composizione non è ancora del tutto compresa. Un campione potrebbe anche consentire l’esatta datazione dell’impatto che potrebbe a sua volta essere usata come standard per datare altre caratteristiche della superficie lunare.

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