Puntuali dopo i nuovi disastri e non soltanto in Toscana sono arrivate le denunce, la rabbia e un po’ meno gli impegni. Torna naturalmente la richiesta di finanziamenti per l’emergenza ma soprattutto quella per la prevenzione senza la quale saremo sempre punto e da capo. Qui però continua a mancare qualcosa sulle cause ed anche gli indispensabili rimedi contro il protrarsi e aggravarsi di una situazione ormai insostenibile.
Eppure specialmente in Toscana -meno altrove- da alcuni mesi è in corso un approfondito dibattito su alcune leggi regionali e anche di riflessione politico istituzionale in vista della conferenza regionale del Pd che potrebbe e dovrebbe aiutare a superare la fase delle mere denunce. A partire da quella che riconduce tutto ai tagli finanziari che è persino ovvio considerare una delle ragioni di tanti ritardi ma soltanto una.
E il motivo è semplice anche se fatica a emergere e cioè che i ritardi risalgono a stagioni dove non era l’austerità che regolava le scelte politiche e istituzionali.
Ad una stagione cioè in cui il nostro paese si era dotato di importanti e innovative leggi come quella sul suolo che prevedeva politiche di programmazione a livello dei bacini idrografici che impegnavano lo stato e anche le regioni, le province e i comuni. O leggi come quelle sui parchi e le aree protette che anch’esse sul piano nazionale ma anche regionale prevedevano politiche di programmazione e pianificazione negli ambienti più pregiati e più esposti a rischi. Solo l’urbanistica era rimasta tagliata fuori da queste importanti innovazioni legislative e gestionali che tuttavia introdussero qualche condizionamento non irrilevante. Ecco perché l’inghippo non è liquidabile con la spending rewiev che in quegli anni non regolava alcunchè visto la misura in cui crebbe il debito pubblico.
Ha ragione perciò Alessandro Volpi su Il Tirreno a dire che bisogna ripartire da qui ossia dai ruoli istituzionali prendendo atto che proprio nell’assetto istituzionale sono in corso cambiamenti –vedi le province che conservano ancora tutte le loro competenze senza disporre quasi più di un bilancio- che non aiutano certo il rilancio di politiche di programmazione di lungo periodo. Va aggiunto inoltre che in maniera pressochè clandestina i bacini o distretti idrogeologici sono in discussione con il rischio di assumere sempre più confini indefiniti e ingovernabili con tanti saluti ai piani.
E’ questo un nodo da sciogliere come vedemmo già con il PIT che non riuscì a rispondere a questa esigenza di raccordo programmatorio con gli ambiti territoriali sovracomunali e sovraprovinciali a cui sta cercando di rimediare ora con la legge sul governo del territorio. E qui veniamo anche al documento di partito di Parrini che giustamente sottolinea che la cura non sta né nel centralismo né nel localismo e per questo si devono studiare anche le altre regioni non solo italiane.
Ho trovato perciò singolare che il documento dopo gli studi che seguirono alle critiche al PIT non delinei una sua strategia rivolta in particolare alla Liguria e all’Emilia a cui ci legano alla prima il bacino idrografico del Magra (sembra sulle ruote), il santuario dei cetacei specie dopo i disastri del Giglio e dei bidoni al veleno della Gorgona e con la seconda 2 dei 3 parchi nazionali su un asse strategico come quello dell’appennino in cui –unico caso in Italia- si avviò una importante discussione su ‘parchi di mare e d’appennino’ in quella visione di integrazione tra politiche marino costiere ed entroterra puntualmente snobbate da sempre.
Non dimentichiamo come risultò chiaro dall’impegno del ministro Barca a cui sta lavorando ora Trigilia che è dalla mancanza di questa capacità di programmazione che deriva la nostra incapacità di avvalersi di parte cospicua dei fondi comunitari. Tanto è vero che persino nel settore del suolo è emerso più volte che nonostante i tagli non sempre si è riusciti a utilizzare del tutto neppure le risorse nazionali pur fortemente ridotte.
Quagliarello ha detto che presto metterà mano al nuovo titolo V fallito per la mancanza di strutture idonee a raccordi tra governo centrale e sistema autonomie che ha dato luogo ad un policentrismo anarchico privo di qualsiasi programmazione.
Ecco che si torna al punto e sarebbe bene in vista delle nuove scadenze politiche nazionali e regionali di rimettere meglio gli orologi anche in Toscana dove pure le cose si sono mosse.