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MIT, i primi risultati della nanobionica vegetale

Scritto da Annalisa Arci il 17.03.2014

Trasformare le piante in dispositivi fotonici autoalimentati da usare come rilevatori di esplosivi, armi chimiche e inquinanti ambientali (l’ossido nitrico, ad esempio). No, non è fantascienza. In un nuovo studio pubblicato su Nature Materials, grazie all’integrazione di nanotubi di carbonio nei cloroplasti – gli organelli in cui avviene la fotosintesi – i ricercatori del MIT riferiscono di aver potenziato del 30% la capacità delle piante di catturare energia luminosa.

La nanobionica vegetale è un campo di studi innovativo e molto recente. “Le piante sono molto attraenti come piattaforme tecnologiche”, spiega Michael Strano , professore di Ingegneria Chimica al MIT. “Si riparano, sono stabili, sopravvivono in ambienti difficili e sono autonome nell’elaborare le fonti di alimentazione e distribuzione dell’acqua”. Le potenzialità di queste procedure sembra davvero infinito.

Bionic plants

(Credit: Juan Pablo Giraldo).

Questa applicazione nasce all’interno di un progetto per la costruzione di celle solari in grado di autoripararsi. Usando come modello la fotosintesi, i ricercatori hanno cercato di migliorare funzionalmente la fotosintesi “trapiantando” i cloroplasti nelle celle. Sappiamo che la fotosintesi avviene in due fasi. La clorofilla assorbe la luce che eccita gli elettroni che fluiscono attraverso le membrane tilacoidi dei cloroplasti. In un secondo tempo, l’impianto cattura l’energia elettrica e la utilizza per alimentare costruzione di zuccheri.

I cloroplasti sono ancora in grado di eseguire queste reazioni anche dopo essere stati rimossi dalle piante. Tuttavia, già dopo poche ore, le proteine fotosintetiche cominciano a danneggiarsi a causa della luce e dell’ossigeno. dato che i cloroplasti estratti non possono ripararsi da soli, ecco intervenire le nanoparticelle di ossido di cerio. Il nanocerio è infatti un potente antiossidante che elimina i radicali dell’ossigeno e di altre molecole altamente reattive prodotti dalla luce, proteggendo in questo modo i cloroplasti.

L’impianto è avvenuto mediante una nuova tecnica, la Lipid Exchange Envelope Penetration (LEEP). Avvolgendole in acido poliacrilico, una molecola altamente carica, le particelle hanno potuto penetrare il grasso, ossia la membrana idrofobica che circonda i cloroplasti. I risultati sono eccitanti: nei cloroplasti sottoposti al trattamento i livelli di molecole danneggiate sono scesi drasticamente. Usando la stessa tecnica i ricercatori hanno anche incorporato nei cloroplasti dei nanotubi di carbonio, un tipo di semiconduttore rivestito di DNA carico negativamente. Ecco un esempio.  

Bionic plants

Immagine all’infrarosso della foglia bionica. (Credit: Juan Pablo Giraldo and Nicole M. Iverson).

Un esemplare di Arabidopsis thaliana è stato sottoposto a questa seconda procedura di infusione vescicolare di nanoparticelle. Potenziando la parte inferiore della foglia di questa piccola pianta fiorita, dove sono situati i pori o stomi che normalmente consentono all’anidride carbonica di fluire e all’ossigeno di defluire, il flusso di elettroni risultava incrementato. Le piante di solito usano solo circa il 10% della luce solare. Dopo essere state potenziate con queste “antenne” artificiali, sono riuscite a catturare anche la luce ultravioletta e infrarossa, lunghezze d’onda che naturalmente le piante sono catturano. L’attività fotosintetica misurata mediante il flusso degli elettroni attraverso la membrana tilacoidale registra un incremento del 49% con ben due ore di autonomia. 

Ora si tratta di capire in che modo il flusso eccedente influenza la produzione di zucchero. Qual è l’impatto delle nanoparticelle sulla produzione di combustibili chimici come il glucosio? Per ora l’Arabidopsis thaliana è un efficace sensore chimico in grado di rilevare l’ossido nitrico, un inquinante ambientale prodotto dalla combustione, il perossido di idrogeno, il TNT esplosivo e il gas nervino. Adattando i sensori ai diversi target, i ricercatori sperano di sviluppare impianti che potrebbero essere utilizzati per monitorare l’inquinamento ambientale, i pesticidi, le infezioni fungine o l’esposizione a tossine batteriche. 

Paper di riferimento:

Juan Pablo Giraldo et alii., Plant nanobionics approach to augment photosynthesis and biochemical sensing, in “Nature Materials” (2014): dx.doi.org/10.1038/nmat3890

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