Usare il Sole come un laboratorio per studiare l’antimateria? Da oggi è possibile. In che modo? L’antimateria è già stata rilevata da tempo nelle eruzioni solari, soprattutto grazie ai rilevatori di microonde e agli studi sulle variazioni del campo magnetico nello spazio. Considerando questo insieme di dati come punto di partenza, una nuova ricerca coordinata da Gregory D. Fleishman, professore di Fisica al NJIT, e dalla Divisione di Fisica Solare della American Astronomical Society, ha rilevato una forte asimmetria tra materia e antimateria usando il Sole come cartina di tornasole.
I dettagli dello studio non sono ancora stati pubblicati ma sono disponibili sul sito del New Jersey Institute of Technology. Mentre le antiparticelle possono essere create e poi studiate con costosi esperimenti come il noto Large Hadron Collider, per le particelle le difficoltà non sono inferiori. Con questo nuovo esperimento è stato possibile rilevare per la prima volta, a distanza relativistica, le antiparticelle degli elettroni – i positroni – prodotte nelle interazioni nucleari tra ioni pesanti che hanno luogo durante i brillamenti solari.
(Crediti:NASA).
Gli elettroni e le loro antiparticelle, i positroni, hanno lo stesso comportamento fisico ma carica diversa: gli elettroni hanno una carica negativa, mentre quella dei positroni è positiva. Questa differenza di carica provoca nei positroni emissioni radio di senso opposto. Proprio la diversa polarizzazione, che è circolare nel caso di queste antiparticelle, è stata utilizzata come criterio per distinguere questo tipo di emissioni dalle altre.
Combinando questi dati con le osservazioni della direzione del campo magnetico durante le eruzioni solari, fornite dal Solar and Heliospheric Observatory della NASA (SOHO), il gruppo di ricercatori coordinato da Gregory D. Fleishman ha scoperto che le emissioni radio proveniente dai brillamenti non erano polarizzate circolarmente a causa dei numerosi elettroni più, e avevano una frequenza più bassa (dunque minore energia) di quanto i dati teorici avevano suggerito. Di conseguenza, solo alle frequenze più alte (e a più alte energie) l’effetto dei positroni riesce ad influire sui campi magnetici.
Con una combinazione di osservazioni nella lunghezza dei raggi X e delle microonde, i ricercatori hanno raccolto numerosi dati sugli effetti di questi brillamenti confermando tutte le aspettative sulle possibili implicazioni di questa ricerca, qualora i risultati fossero ulteriormente confermati. Sul piano della fisica teorica, chiarire il ruolo delle antiparticelle in questi fenomeni estremi sarà utile per comprendere meglio la natura di altri corpi celesti, della materia stessa e delle interazioni nucleari ad alta energia. Possibili applicazioni di impatto tecnologico non sono affatto escluse: ad esempio, celle solari molto più efficienti.