Con l’estate alle porte, si avvertono le prime nuove attrazioni verso alimenti più freschi, gustosi e dissetanti che, oltre il gusto, soddisfino al tempo stesso anche il piacere della vista.
E quale frutto, più di un bel cocomero, ha le caratteristiche più idonee a rappresentare l’estate?
Da dove siano giunte fino a noi le angurie è stato tuttavia fino ad oggi oggetto di pareri diversi.
Ora, un nuovo studio, pubblicato negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, sembra aver finalmente fatto luce sulle origini di questo frutto.
Studiando il DNA di piante coltivate in serra che rappresentavano tutte le specie conosciute di anguria e centinaia di varietà, gli studiosi del settore della Washington University di St Louis, Missouri, hanno scoperto che molto probabilmente le angurie attuali discendono da progenitori di colture selvatiche dell’Africa nord-orientale.
Questa notizia va a correggere un errore che perdura da 90 anni, secondo cui i cocomeri erano compresi nella stessa categoria del melone cedro sudafricano.
I ricercatori hanno scoperto che una forma sudanese con polpa biancastra, per niente amara, conosciuta come melone del Kordofan (Citrullus lanatus) sarebbe il parente più stretto delle attuali angurie domestiche.
La ricerca genetica appare coerente con le pitture tombali egizie che, secondo una recente interpretazione, sembrerebbero suggerire che l’anguria avrebbe potuto essere consumata nella Valle del Nilo, come dessert, già più di 4000 anni fa.
“Sulla base del DNA abbiamo scoperto che le angurie così come le conosciamo oggi, con una polpa dolce, spesso rossa, che può essere mangiata cruda, sono geneticamente più vicine alle forme selvatiche dell’Africa occidentale e nord-orientale”, afferma Susanne S. Renner, docente del Dipartimento di Biologia in Arti e Scienze alla Washington University (WU).
Susanne Renner è una biologa evoluzionista che, dopo aver lavorato all’Università Ludwig Maximilian di Monaco, in Germania, dove è stata anche direttrice del Giardino botanico e dell’Erbario, si è recentemente trasferita alla W.U., negli Stati Uniti.
Il suo laboratorio ha studiato a lungo meloni e cetrioli, ma negli ultimi dieci anni si è focalizzato su angurie e zucche amare.
Le informazioni genetiche pubblicate nel nuovo studio, portato a compimento con i colleghi del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti di Ithaca, New York, del Royal Botanic Gardens di Kew, a Londra, e dell’Università di Sheffield, Regno Unito, secondo la studiosa potrebbero essere utili per lo sviluppo di un raccolto di anguria più resistente alle malattie.
“L’anguria attuale, infatti, proviene da un ceppo genetico molto piccolo che è altamente sensibile a malattie e insetti nocivi, oltre che a varie muffe, funghi, virus e vermi”, sostiene Renner. “Finora abbiamo trovato variazioni in tre geni di resistenza alle malattie tra il melone del Kordofan e l’anguria domestica. Gli allevatori potrebbero utilizzare queste e altre informazioni tratte dallo studio del relativo genoma.
Ma alcuni degli spunti salienti che derivano da questo studio sono legati alla mobilità delle persone e alle loro connessioni culturali.
“Sono state le pitture tombali egizie a confortare la mia convinzione che gli antichi Egizi si nutrissero di polpa di anguria fresca”, continua difatti la studiosa. “In caso contrario, non si vede il motivo della presenza nelle pitture di quei frutti enormi serviti su vassoi e piatti accanto ad uva e ad altri frutti dolci.
“Più volte, nel corso della storia umana, ed anche con una discreta facilità, meloni, cetrioli e angurie sono passati dallo stato selvatico a quello di frutti ‘domestici’, con cui si arricchivano poi abitualmente le mense. Ma collocare questi ‘addomesticamenti’ nei luoghi di provenienza e raggrupparne la posizione tassonomica, ricercandone gli ‘antenati’, è stato molto più difficile di quanto io stessa pensassi solo 10 o 15 anni fa. L’aiuto essenziale non poteva che venirci dallo studio del DNA dei semi antichi”, conclude la Renner.