Nell’escalation di violenze e di ritorsioni internazionali, soprattutto tra i paesi arabi ex alleati di Damasco, erriva la notizia secondo cui l’Arabia Saudita verrebbe pagare i ribelli siriani che lottano contro il presidente Bashar al-Asad e il suo cerchio di potere.
Se lo facesse, non si tratterebbe né del primo passo né del primo paese ad appoggiare i ribelli. Già il Qatar, che era stato l’unico paese arabo a partecipare ai raid della Nato contro il regime di Gheddafi, sta finanziando i ribelli. Per non parlare della Turchia, fino a poco tempo fa stretto alleato della Siria ed ora apertamente schierato coi ribelli, che ospita anche all’interno dei suoi confini.
Il piano dell’Arabia Saudita viene attualmente preso in esame da funzionari degli Stati Uniti e del mondo arabo, e si affianca alla fornitura di armi che ormai quasi apertamente ammessa da parte di sauditi, dal Qatar alle forze ribelli in Siria. D’altro canto, non si ferma nemmeno il supporto da parte della Russia del regime siriano, con continui arrivi di navi carichi di armi e munizioni, in uno scenario che è sempre più vicino ad una guerra civile.
Il quartier generale per lo smistamento delle armi ai ribelli è attualmente Istanbul, dove è anche presente un centro di comando con 22 persone al lavoro, molte delle quali di nazionalità siriana.
Le tensioni tra Siria e Turchia si sono aggravate dopo che l’aviazione siriana ha abbattuto un caccia turco che volava sulle sue acque territoriali. In Turchia si trovano attualmente già 30 mila rifugiati siriani in campi profughi allestiti lungo il confine con la Siria.