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Le chiamano riforme…

Scritto da Renzo Moschini il 16.10.2014

Un assessore regionale toscano dopo le elezioni  dei nuovi ‘consigli provinciali’ ha detto che ora bisogna procedere rapidi nella ‘riforma’ delle province. Ossia ora vanno definiti senza indugi i ruoli. Capito? Ma le riforme non dovrebbero mirare proprio alla ridefinizione dei ruoli – prima e non dopo – in rapporto al complessivo riassetto istituzionale tanto da ridefinire il ruolo stesso del Senato? Evidentemente ci eravamo sbagliati perché l’importante sono solo i costi e le spese, insomma roba da ragioneria, anche se poi come per le provincie qualcuno per quei servizi scolastici etc dovrà pur pagare.

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Il quadro però si complica e non poco se vediamo cosa ha scritto recentemente ‘Italia Oggi’ riguardo alle regioni che, stando a Richetti, Renzi voleva abolire da 20 a 10, un disegno che qualcuno si augura sia stato solo rinviato. E se le regioni dovrebbero essere dimezzate i comuni da oltre 8000 dovrebbero passare a 1000. E’ ricorrente la cantilena che dopo 30 anni di chiacchere inutili finalmente si passa ai fatti. Ma si dà il caso che per i comuni proprio  30 anni fa un certo Massimo Saverio Giannini propose una riforma complessiva delle istituzioni e della pubblica amministrazione che prevedeva appunto la riduzione dei comuni a 1000 con ovvie implicazioni naturalmente del nuovo ruolo delle province e delle regioni le prime ora abrogate e le seconde in attesa di un destino che al momento appare comunque pasticciato e confuso.

In una recente consultazione parlamentare sul nuovo titolo V un autorevole costituzionalista ha sostenuto che la situazione che si profila al momento sembra delineare da un lato ‘regioni troppo ordinarie’ e dall’altro ‘regioni troppo speciali’. Qui mi sovviene una indagine parlamentare di molti anni fa  della Commissione bicamerale per le questioni regionali – erano i tempi di Magnago a Bolzano, Melis in Sardegna, Nicolosi in Sicilia – che si concluse con un documento in cui ci si chiedeva se tanta ‘specialità’ aveva ancora un senso  e non fosse più ragionevole riconsiderare il ruolo e le competenze complessive delle regioni nel rapporto con lo stato. Propositi persi per strada perché sono  mancate e mancano invece come è stato detto nelle consultazioni sul titolo V ‘forme serie di cooperazione’. E da quel che si sta profilando  non sembra che la strada imboccata sia questa. Ancora una volta infatti lo stato della  ‘leale collaborazione’ costituzionale si preoccupa  poco o nulla preferendo sbacchettare con disinvoltura a destra e a manca    rendendolo  poco  credibile e affidabile. Si possono evitare altre ‘trovate’ tipo province ma è bene pensarci per tempo.

Renzo Moschini

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