Le elezioni regionali hanno confermato con il calo degli elettori la crisi crescente di una istituzione di cui appare sempre più incerto il presente e ancor più il futuro.
Già qualche mese si era messo mano ad una ipotesi poi accantonata ma non cancellata di ridurne drasticamente il numero. Successivamente dopo anni di colpevoli silenzi si tornò a parlare sgangheratamente delle differenze di ‘trattamento’ tra regioni speciali e regioni ordinarie. Tanto che mentre quelle ordinarie sono nei fari di un pesante ritorno centralistico quale emerge dal nuovo titolo V le altre sono ignorate. Si aggiunga che l’abolizione delle province ha scaricato confusamente sulle regioni funzioni e spese che complicano ulteriormente una situazione già malmessa.
In campagna elettorale di questi temi si è discusso poco e male. Molto invece di scandali che delle regioni hanno accresciuto il già diffuso discredito nel paese.
Sergio Rizzo sul Corriere della Sera e anche altri sono tornati per ciò a sollevare interrogativi di fondo sul futuro delle regioni di cui certo non si fa carico adeguatamente il titolo V giunto alla sua terza lettura, con il quale lo stato si appresta a togliere le maggiori competenze che ne ridimensioneranno pesantemente il ruolo. Un futuro di serie B meritato perché -si dice- il vecchio titolo V sbagliando aveva concesso loro troppo. La verità è che stato e regioni avrebbero dovuto collaborare ‘lealmente’ per riuscire finalmente a governare insieme. Non ci sono riusciti ma il fallimento riguarda non solo le regioni ma anche e non di meno lo stato che vuole furbescamente scaricare ora interamente su di loro anche colpe chiaramente sue. Eppure è proprio quella esigenza naufragata nella spropositata e paralizzante crescita della conflittualità costituzionale e istituzionale che deve essere soddisfatta se vogliamo uscire dall’attuale malgoverno del territorio e soprattutto della gestione rovinosa dell’ambiente.
Se è giusto chiedersi –come fa Rizzo- se hanno senso regioni come la Val d’Aosta o il Molise con popolazione complessiva di un quartiere di città, come lo è chiedersi se le competenze ‘speciali’ non debbono anch’esse essere riconsiderate senza intenti demolitori lo è anche di più non ignorare quelle esigenze di sussidiarietà poste alla base di una politica di governo in cui non ci sia una sola istituzione al comando cioè lo stato. Uno stato –è bene ricordarlo- che di lezioni di governo non può permettersi di darne molte visti i disastri con i quali oggi dobbiamo fare i conti oggi.
A quando allora un confronto serio finora mancato tra stato, regioni ed enti locali che metta fine allo scaricabarile e alle manfrine per passare ad altri il cerino?
Renzo Moschini