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Perovskite: un nuovo minerale per le celle solari

La Perovskite, un nuovo materiale solare strutturato come un minerale, sta scalando molto rapidamente le classifiche per il rendimento con energia solare

Scritto da Micaela Conterio il 24.04.2014

Un nuovo materiale solare strutturato come un minerale, rivenuto per la prima volta nel 1839 sui monti Urali, sta scalando molto rapidamente le classifiche per il rendimento con energia solare, superando in efficienza quasi tutti i materiali finora analizzati dai ricercatori del National Renewable Energy Laboratory del Dipartimento dell’Energia (NREL). Fatto questo che lascia ben sperare per il futuro del nostro pianeta, in particolare sulle modalità poco costose per generare elettricità a partire dalla luce solare.

perovskite

La perovskite, questo il nome del materiale, viene analizzato attraverso le funzionalità uniche di test di laboratorio  per scoprire i segreti e le potenzialità di un minerale semiconduttore. David Ginley, ricercatore del NREL, che è uno scienziato dei materiali di fama mondiale e vincitore di numerosi R&D Awards, ha dichiarato che “ciò che rende la struttura del dispositivo di perovskite così notevole è che se immersi in una soluzione liquida, manifestano proprietà insolite per la diffusione a lunga distanza dei fotoni. Questo rende molto meno probabile sia la ricombinazione fra le coppie di elettroni sia la dispersione di elettricità utile, fattore questo che lo connota come dispositivo altamente efficiente e a basso costo”.

Daniel Friedman scienziato Senior del NREL sottolinea come le cellule di perovskite che  assorbono la luce hanno “una lunghezza di diffusione 10 volte maggiore rispetto alla loro lunghezza di assorbimento” fenomeno insolito, ma soprattutto molto utile.

Le nuove celle sono costituite da un parente del minerale di perovskite rinvenuto negli Urali. Apportando alcune semplice e piccole modifiche al materiale, è possibile assorbire la luce del sole in maniera molto efficiente; il materiale è, in aggiunta, facile da ricreare utilizzando liquidi che potrebbero essere stampati su supporti come inchiostro in una macchina stampante, o ottenuti tramite la semplice evaporazione. Proprietà queste che indirizzano tutte verso un impiego nelle celle solari. La perovskite inoltre risulta anche particolarmente flessibile, al punto che manipolandone la sua composizione di base, si può accedere alle diverse parti dello spettro solare. Questo significa che il materiale può essere modificato introducendo impurità così da essere idonea a un utilizzo nelle celle solari multi-giunzione con efficienza molto elevata. Queste particolari celle solari sono un’invenzione del NREL del 1991, che ancora oggi vengono sfruttate soprattutto nelle applicazioni spaziali esterne, satelliti o i robot su Marte, a causa dei costi elevati dei materiali. Il fatto di poterle realizzare con materiali quali la perovskite, a costi quindi inferiori, potrebbe cambiare radicalmente lo scenario.

Gli scienziati del NREL sono incoraggiati dalla possibilità di ottimizzare ulteriormente i materiali, la sostituzione, ad esempio, del piombo con lo stagno nelle cellule potrebbe migliorare l’efficienza delle celle multi-giunzione a base di perovskite, perché oltre all’utilizzo di un materiale più ecologico, il cambiamento comporterebbe una maggiore resistenza all’elevata umidità per le celle solare finite.

In soli quattro anni, l’efficienza di conversione della perovskite, il rendimento cioè dei fotoni che colpiscono il materiale e che si trasformano in elettroni da utilizzare per generare energia elettrica, è cresciuta dal 3,8 % del 2009 a poco più del 16%, con rapporti non confermati di un livello di efficienza ancora più alto, che arrivano regolarmente.

In teoria l’efficienza massima di una cella solare a base perovskite è circa il 31% , il che significa che di tutta l’energia solare contenuta nella luce solare che colpisce la cella, il 31% viene convertito in energia elettrica utile. Le celle multi-giunzione basate su perovskite potrebbero raggiungere una maggiore efficienza. “L’obiettivo non dovrebbe essere quello di fermarsi al 20% di efficienza “, ha detto Joey Luther, scienziato senior del NREL. “L’obiettivo dovrebbe essere quello di cercare di arrivare al 28% o anche di più. In laboratorio, le migliori celle devono essere quasi perfette su piccola scala.”

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