Il 12 settembre il festival Ipercorpo – Infinitamigrazione di Forlì ha ospitato il gruppo Pathosformel.
Pathosformel nasce nel 2004 a Venezia ed è costiuito da elementi provenienti da diverse discipline. Ha ricevuto diversi premi (Premio Scenario 2007, Premio Iceberg 2009 e premio Ubu Speciale) e la sua ricerca si propone di ripensare la prensenza del corpo umano in scena.
La scena de La prima periferia, è costituita da un grande rettangolo bianco sui quali sono distesi, sembrerebbe, con la luce bassa, degli scheletri.
I tre attori sono seduti, in atteggiamento del tutto naturale, quasi fossero dei tecnici, fuori dal grande rettangolo bianco. Quando la luce diventa più forte, si capisce che a terra non ci sono scheletri, ma manichini, costruiti in modo che la struttura ricordi ossa, muscoli e tendini, la testa però, non è un teschio. Un attore si alza, entra nel rettangolo bianco e lentamente comincia a muovere il manichino. Lentamente il manichino, che scricchiola ad ogni movimento, prende vita grazie alle braccia dell’attore. Uno alla volta anche gli altri due attori cominciano a muovere gi altri due manichini, uomini o donne inanimati, ma animati da altri. A volte vengono lasciati in posizioni statiche in modo che due o tre attori possano occuparsi dei movimenti di uno solo dei manichini. Sul rettangolo, ad un certo punto diventa tanto evidente quanto strano, ci sono sei attori in scena. Gli attori in carne ed ossa, con impegno e precisione, costruiscono nei minimi particolari quei gesti della quotidianità che spesso passano del tutto inosservati sugli attori senza vita. Su questo sfondo di mancanza della vita, quegli stessi gesti risaltano, sono eclatanti. I manichini non si toccano mai, non si incontrano mai. Una musica continua e molto forte, a volte dolce, a volte solo una serie interminabili di colpi, accompagna la lentezza misurata dei movimenti. Al culmine dello spettacolo degli oggetti assolutamente insignificanti, pezzi di legno o di plastica cominciano a roteare sul pavimento, mossi da nessuno. I manichini cercano di prenderli, ma non ci riescono mai. A tratti in questa lentezza, in questi tentativi mancati di contatto o comunicazione, pare avvertire la fatica di vivere, l’inutilità dei gesti o delle azioni. L’accostamento di animato e inanimato, il tentativo del primo di animare il secondo suscita perplessità profonde. Pathosformel si muove al limite della nientificazione e quel limite ci parla della condizione umana: a cosa siamo riducibili? Nella pulizia delle azioni e delle intenzioni, in cui nessuna passione pare agitare il sismografo delle nostre emozioni, risuona ciò che generalmente è dimenticato e che pure sempre ci sta sotto il naso.
Uno spettacolo con un’intenzione, ci pare, dichiarata e coraggiosa, evidente e precisa. Pathosformel, composto da giovani attori, pare cogliere con esattezza lo spirito e i problemi del nostro tempo.