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Domande intorno all’istinto materno

Scritto da Maria Rosa Pantè il 25.05.2018

Lungo la strada che attraversa le frazioni più basse della mia cittadina, in Valsesia (Vercelli) ci sono i prati e nei prati spesso ci sono pecore, capre, asini e cavalli.

In un prato c’è anche un maiale, nero, una scrofa magnifica, degna di un romanzo di Wodehouse.

In particolare ho scoperto in questi giorni di maggio che due cavalle hanno avuto i loro figliolini.

In un recinto ci sono tre pony, uno marroncino e biondo, l’altro bianco e nero, la criniera nera e folta… Deve essere questa la madre del piccolino, il terzo pony. Così piccolo che la prima volta ho pensato fosse un cane, un border collier, bianco e nero, ce ne sono un po’ da queste parti. Invece, quando si è mosso, ho visto il muso da cavallo, un muso un po’ grande per il resto del corpo, un muso nero più grande della sua età, o meglio della sua taglia.

Invece in un maneggio, nel recinto separato, stanno altri due cavalli: madre e figlio/a. Lei è imponente, alta, la criniera chiara e il corpo dal manto marroncino. Il cucciolo è così esile, le zampe sono lunghe, ma sottili, tanto sottili che lo guardo e mi chiedo come si reggano, come possano farlo trottare e correre. Perché questo piccolino dagli occhi di fanciulla (guardate gli occhi dei cavalli sono bellissimi, emotivi. li direi), il piccolino corre ed è curioso.

La terza o quarta volta che passavo di lì, proprio per vedere la coppia, mi sono fermata e lui subito si è bloccato, nel mezzo del prato e poi pian piano ha alzato la testa e mi ha fissato.

Subito è venuto vicino, stavo quasi per sentire come poteva essere morbido il suo pelo di nuovo essere, quando imperiosa e magnifica è arrivata la madre e con delicatezza, ma decisione, l’ha spinto via. Poi mi ha guardata con occhi ora non miti, ma audaci, gli occhi di una madre che difende il suo piccolo.

Sono trotterellati lontano da me, insieme, lei a fianco di lui, e poi quando si sono fermati, lui ha mangiato del suo latte e così quel tutto unico, madre e figlio, si è per un momento ricomposto.

L’istinto materno che prodigio dell’evoluzione. L’istinto alla cura, all’accudimento, di solito della madre, una madre che può essere di un’altra specie come ben sappiamo, oppure di una madre che è un maschio, se un padre ti alleva e ti nutre.

L’istinto che non è da dare per scontato, ci sono situazioni in cui gli animali ci fanno ben capire che sono altro oltre l’istinto. Ci sono madri che rifiutano i piccoli perché non sanno come fare: essere madri è un esercizio difficile, anche per gli animali non solo per l’homo sapiens.

L’istinto materno, la cura, la difesa della prole. Che sviluppo astuto e insieme appagante dell’evoluzione.

E come sarà nato? Come?

Chissà quale prima cellula che si sia divisa, quando ciò che era vivo era solo una cellula, ha provato un desiderio di cura?

Ho posto questa domanda a mio marito e lui è stato serio e impassibile e mi ha detto, con gli occhi però ridenti: “No, sai all’istinto materno di una cellula non avevo pensato mai”.

Forse nemmeno voi, beh direi che è giusto pensarci, perché la cura è la nostra vera arma, la nostra potenza, il nostro mezzo di trasporto verso una qualche felicità.

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