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Donne e greeneconomy: l’Italia fanalino dei coda nel mondo

Donne e greeneconomy: un connubio imperfetto in Italia dove, anche se le potenzialità sono alte, si stenta a dare un impulso reale all'economia rosa

Scritto da Micaela Conterio il 27.06.2014

Quella dell’uscita dalle crisi economica, sociale e ambientale è una sfida difficile. La green economy potrebbe essere un asset importante e protagoniste assolute di questa sfida sono innegabilmente le donne, che orientano le scelte di acquisto, lavoratrici e professioniste instancabili e innovative. Infatti se si considera la situazione in Italia il quadro che emerge le vede artefici nel 66,5% dei casi delle scelte di acquisto della famiglia, rappresentando circa l’80% del comparto dell’istruzione; la loro presenza, a maggior ragione in posizioni apicali, fa funzionare meglio uffici e imprese.

Fotovoltaico a terra

Le donne costituiscono, pertanto, il destinatario finale per un nuovo impulso alla green economy e un nuovo orientamento del mercato. Anche di questo si è parlato nel convegno, “Donne e green economy. La social innovation per cambiare la città” , nell’ambito delle iniziative “Verso gli Stati generali della green economy”, organizzato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile con Roma Capitale Assessorato all’ambiente, agroalimentare e rifiuti e Assessorato Roma produttiva.

Nonostante esistano nel nostro Paese storie di eccellenze, di successo di imprese green “rosa”, il Global Gender Gap Report 2012 del World Economic Forum, analisi internazionale del divario di genere, vede l’Italia collocarsi all’80° posto, retrocedendo di 6 posizioni rispetto al 2011. Solo per citare alcuni settori si va dal 65° posto per livello di istruzione, al 101° per partecipazione e opportunità economiche offerte alle donne, con effetti in termini di relegazione in specifici settori professionali, retribuzioni inferiori e ridotta progressione nel lavoro.

Dati alla mano (Environment and Gender Index, EGI, dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, IUCN, del 2013) siamo gli ultimi dei 16 Paesi dell’Ocse per quanto riguarda il coinvolgimento e responsabilità delle donne e l’uguaglianza di genere nel settore ambientale. Secondo il Rapporto Istat 2013, inoltre, l’Italia è il fanalino di coda in Europa in termini di occupazione femminile con una media del 49% contro quella comunitaria di oltre il 62%.

Al di là della “mera” questione di genere e delle pari opportunità di cui tanto si discute, il punto fondamentale è rappresentato dal fatto che quello femminile non è un problema delle donne, ma dell’intera economia. La Banca d’Italia, infatti, sostiene che qualora la percentuale di donne occupate toccasse il 60%, in base agli obiettivi di Lisbona, il Pil in Italia aumenterebbe del 7%. Secondo le stime dell’Ocse, se il tasso di occupazione delle donne fosse equivalente a quello degli uomini, il Pil crescerebbe del 13% nell’eurozona e di oltre il 20% in Italia.

Per centrare questi ambiziosi obiettivi, sarebbe indispensabile favorire una prospettiva di genere, che tenga conto dei benefici provenienti dalla presenza femminile, soprattutto nel caso di posizioni apicali e di responsabilità. A maggior ragione se la green economy deve essere la risposta alla crisi economica, sociale e ambientale sia recando benefici alla collettività sia trasformando i modelli di produzione, di consumo e gli stili di vita.

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