Superati dalla Corea del Sud, dalla Polonia e dalla Spagna, l’Italia arranca nella classifica delle competenze degli adulti, tanto da far dichiarare al Ministro del Lavoro che l’Italia è un paese di inoccupabili (parole poi parzialmente smentite).
Che ci piaccia o meno, i dati nero su bianco lasciano poco spazio alle dichiarazioni di sdegno: gli italiani sono indietro agli altri paesi OCSE su tutti i fronti quando si parla di qualificazione degli adulti, e questo non aiuta nella collocazione nel mondo del lavoro. I risultati dell’indagine internazionale PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) sulle competenze degli adulti si è svolta nel periodo 2011-2012 ed è promossa dall’Ocse. Essa analizza il livello di competenze fondamentali della popolazione tra i 16 e i 65 anni in 24 paesi. L’Italia si è classificata all’ultimo posto.
In Italia l’indagine è stata condotta dall’ISFOL per il Ministero del Lavoro che, contestualmente a Ocse e agli altri 23 paesi, mette oggi a disposizione i dati nazionali e le relative elaborazioni.
Le competenze prese in considerazione dal programma sono quelle fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l’inclusione sociale (literacy) e quelle per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta (numeracy). Competenze sulle quali, ci dicono i dati PIAAC, gli adulti italiani sono ben al di sotto della media degli altri paesi, anche se rispetto alle precedenti indagini Ocse (IALS 1994-98 e ALL 2006-08) tale distanza si è ridotta.
L’Italia ad esempio risulta penultima nelle competenze matematiche.
Il deficit del paese è più accentuato al sud e nelle isole e per i livelli di istruzione avanzati. Gli scarti più elevati si hanno tra i nostri laureati e quelli degli altri paesi. A fronte di questo, continua tuttavia il processo di contenimento dell’analfabetismo essendo diminuita rispetto al passato, la percentuale di popolazione che si attesta ai livelli più bassi di competenze.
L’inabilità e l’incompetenza naturalmente vanno di pari passo con l’assenza di un’occupazione. E’ il caso dei cosidetti NEET, i giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, che non fanno nulla per accrescere le proprie capacità e anzi col tempo lasciano decrescere quelle acquisite dalla frequenza a scuola.
In questo quadro così nero, però, ci sono aspetti in chiaro scuro. Sono i soggetti più anziani che riescono a evitare il deterioramento delle competenze. Il differenziale tra la fascia dei 16-24enni e la fascia dei 55-64enni si è infatti pressoché dimezzato rispetto alle precedenti indagini Ocse, con un miglioramento delle fasce di età più mature.
Anche sul versante femminile si registra una positiva tendenza al miglioramento dei livelli di competenza con un evidente recupero del gap rispetto al genere maschile. Anche in presenza di inattività, le donne mantengono un buon livello di competenze. Le disoccupate registrano nello specifico un punteggio più elevato rispetto ai disoccupati maschi, e questo indica la presenza di un capitale di competenze femminili attualmente non sfruttato dal mondo del lavoro.
Mancanza di formazione
Le informazioni messe a disposizione dall’indagine sono tante, ma Il primato negativo italiano che fa forse più riflettere è la scarsa partecipazione ad attività di apprendimento formale e informale degli adulti che in Italia è la più bassa tra i paesi Ocse: il 24% a fronte di una media del 52%. Un elemento che determina la differenza quando si vanno a misurare le competenze. Il punteggio di chi si è dedicato ad attività di formazione o volte all’apprendimento è infatti ben più alto rispetto a chi è rimasto fermo.
Continuare a imparare, rimanere attivi, accrescere le proprie capacità sembrano dunque gli strumenti per avvicinarsi a quei paesi europei affini all’Italia per caratteristiche socio culturali ed economiche. Strumenti sui quali è probabilmente necessario investire per creare benessere e sviluppo individuale e nazionale.
Sulla polemica degli italiani inoccupabili è poi tornato il ministro Giovannini che ha precisato di non aver mai parlato di “italiani inoccupabili” ma di una necessità “in Italia di investimenti in capitale umano nella formazione”. Obiettivo per il quale il governo ha stanziato 500 milioni di euro.