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Amminoacidi e atmosfere esotiche

Scritto da Annalisa Arci il 30.12.2013

Qual è l’origine della vita? Che cosa ha innescato la magica sequenza che ha portato alla formazione dei primi organismi complessi? L’anello mancante va cercato nelle proprietà dell’RNA oppure nelle venti basi di amminoacidi? Già è difficile rispondere a queste domande limitatamente al contesto terrestre; se, poi, valichiamo i confini e ci poniamo dal punto di vista dell’astrobiologo che studia le atmosfere degli esopianeti, va da sé che i problemi si moltiplicano. 

Le prime forme di vita sulla Terra furono procarioti unicellulari. Risalenti a circa 3,5 miliardi di anni fa, si evolvettero a partire dai protobionti, semplici agglomerati di molecole organiche racchiuse in una membrana, ma capaci di riprodursi e di avere un metabolismo. Quello che ancora non sappiamo è l’esatta sequenza di eventi che portò ai primi replicanti: in che modo si è formato il primo organismo vivente a partire da insiemi di amminoacidi (necessari alla formazione delle proteine) e nucleotidi (le unità strutturali del DNA)?

File:Tipica cellula procariote.svg

(Crediti: Wikipedia.org).

L’abiogenesi si occupa di questo: cerca di capire l’origine della vita, quel passo magico – quasi una generazione spontanea – che ha portato la materia a trasformarsi in materia animata. La rivista Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) ha pubblicato un significativo studio in cui si sostiene l’idea che dieci amminoacidi, presenti sulla Terra già 4 miliardi di anni fa, erano in grado di formare proteine ​​“pieghevoli” in un ambiente salato. A queste proteine capaci di ripiegarsi su se stesse si deve l’attività metabolica necessaria all’emergere della vita. L’articolo riporta i risultati di tre anni di studi e sembrerebbe contraddire il paradigma attuale sull’abiogenesi, secondo cui l’RNA sarebbe “primario”, in quanto si sarebbe formato per primo.

Intanto capiamo perché sono così importanti le proteine. Sostanze organiche azotate, sono presenti in tutte le forme di vita. Il corpo umano contiene oltre 100.000 proteine diverse che condividono la medesima composizione elementare: in percentuali diverse, i mattoncini che le compongono sono azoto, carbonio, idrogeno, ossigeno, zolfo. In alcuni casi anche fosforo e ferro. Questi mattoncini elementari sono i 20 amminoacidi oggetto del presente studio. Le proteine sono composte da lunghe sequenze di amminoacidi; se volessimo rappresentarle potremmo pensare ad una struttura tridimensionale che consente anche agli amminoacidi più lontani di disporsi secondo una precisa geometria, dettata dalla specifica azione che la proteina andrà a compiere (ormoni, enzimi, anticorpi). In termini un po’ più tecnici, abbiamo, dunque, una struttura lineare o primaria – che indica la catena polipeptidica nell’atto di avvolgersi a spirale – e una struttura secondaria che corrisponde al modo in cui la catena si ripiega su se stessa per assumere una forma “schiacciata”.

Lo studio condotto dal Prof. Michael Blaber, del Florida State University College of Medicine, ha analizzato soprattutto le strutture secondarie. Dal dato evidente richiamato in precedenza (il corpo umano utilizza venti comuni amminoacidi per sintetizzare tutte le proteine necessarie) sono state tratte alcune conclusioni. Poiché dieci di queste sono sintetizzabili in laboratorio mediante reazioni chimiche che nulla hanno a che fare con la vita, è nelle strutture secondarie che si annida la complessità della vita. L’esperimento condotto in laboratorio sembra confermare l’ipotesi: applicando una decostruzione “dall’alto verso il basso” della catena di amminoacidi, il team guidato da Michale Blaber ha isolato piccoli blocchi o mattoni di peptidi che evolvono spontaneamente in architetture complesse. E tutti hanno la capacità di “ripiegarsi su se stessi” come le strutture secondarie. È confermato ruolo fondamentale degli amminoacidi ​​nell’abiogenesi.

Cosa possiamo concluderne? Come abbiamo accennato, il paradigma attuale ritiene che l’RNA sia stato il primo a formarsi, soprattutto in ambienti a temperatura elevata; ora, la dimostrazione dell’esistenza di amminoacidi e acidi prebiotici “primari” sembra mettere in discussione la primarietà accordata all’RNA. La contraddizione potrebbe essere apparente. Gli studiosi sono avvezzi ad osservare organismi estremofili che vivono in condizioni a prima vista impossibili (alte temperature e acidità, freddo e pressione estremi): nell’attesa di ulteriori prove sperimentali, strategie adattative all’ambiente ed evoluzione potrebbero suggerire la complementarietà delle due ipotesi.

Nonostante tutti questi interrogativi, senza poi contare i problemi teorici connessi con  il significato del termine spontaneità, una recente ricerca disponibile su  mostra che le molecole prebiotiche (o, meglio, alcuni loro precursori) potrebbero essere sintetizzate sulla superficie dei grani di polvere che formano le nuvole nelle atmosfere di alcuni pianeti extrasolari. L’articolo è già stato accettato dalla prestigiosa rivista Astrobiology e verrà presto pubblicato.

Grafico che mostra l’analisi spettroscopica della luce di una stella mentre passa attraverso l’atmosfera di un esopianeta. I diversi picchi nello spettro corrispondono a particolari elementi chimici o composti. (Crediti: NASA).

In sintesi la ricerca dice questo: la formazione delle molecole prebiotiche, necessarie per la vita, sarebbe “facilitata” dai grani di polvere carichi negativamente delle nubi. Caricati negativamente grazie agli elettroni assorbiti dal plasma atmosferico nel quale sono immersi, i grani di polvere sono in grado di attrarre un flusso di ioni positivi. Questo meccanismo causa l’accelerazione degli ioni che raggiungono la superficie dei grani di polvere con una energia superiore a quella che svilupperebbero in un ambiente neutro. Le molecole semplici che popolano lo spazio sono già relativamente stabili, ma senza un’ulteriore energia non sarebbero capaci di formare nuovi legami. In parole povere è necessaria una quantità maggiore di energia per garantire l’attivazione di particolari reazioni chimiche che non sarebbero attuabili tramite un bombardamento ionico e neutro dovuto ad una classica eccitazione termica.

Dove si trova questo surplus di energia? Nelle atmosfere degli esopianeti dove la polvere che li copre è immersa in un plasma pieno di ioni positivi ed elettroni negativi. Nel plasma, i granelli di polvere si arricchirebbero velocemente di elettroni liberi, diventando carichi negativamente. Questo perché gli elettroni sono più leggeri, e quindi più veloci, rispetto agli ioni positivi. Una volta che i granelli di polvere sono carichi negativamente, iniziano ad attrarre un flusso di ioni positivi. Per riuscire però a testare tutto questo, gli autori hanno preso di mira un’atmosfera esemplare, che ha permesso loro di esaminare i vari processi che potrebbero trasformare il gas ionizzato in plasma, permettendo anche di determinare se il plasma potrebbe portare a reazioni abbastanza energetiche.

“Come prova del principio, abbiamo guardato alla sequenza di reazioni chimiche che ha portato alla formazione del più semplice aminoacido:la glicina.” ha spiegato Stark, uno degli autori della ricerca. Tutti conosciamo gli amino-acidi perché sono la base delle proteine, peptidi ed enzimi, e quindi sono ideali molecole prebiotiche. Il modello creato mostra che gli ioni nel plasma possono davvero essere accelerati fino ad energie abbastanza alte da permettere di attivare energie necessarie per la formazione di formaldeide, ammoniaca, cianuro di idrogeno e aminoacidi come la glicina.” ha spiegato Stark. “Questo forse non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato il plasma.”

I calcoli mostrano che anche una temperatura degli elettroni relativamente modesta – nell’ordine di un elettronvolt – può bastare per accelerare gli ioni a energie sufficienti a raggiungere la soglia di attivazione necessaria alla formazione di molecole come la formaldeide, l’ammoniaca, l’acido cianidrico e un amminoacido come la glicina. Ma la possibilità che si formano singole molecole non è ancora sufficiente. 

Riferimenti: 

Liam M. Longo, Jihun Lee, Michael Blaber, Simplified protein design biased for prebiotic amino acids yields a foldable, halophilic protein, in “PNAS”, 2013, 110 (6), pp. 2135-2139.

Craig R. Stark, Christiane Helling, Declan A. Diver, Paul B. Rimmer, Electrostatic activation of prebiotic chemistry in substellar atmospheres, in arXiv.org

 

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