Tutto nasce con il paradosso con cui Eugene P. Wigner ha posto il problema mente-corpo alla fisica quantistica. Wigner immagina questa situazione: in sua assenza, un amico si reca in laboratorio ed esegue l’esperimento del gatto di Schrödinger. Solo quando Wigner ritornerà in laboratorio saprà se il gatto è vivo o morto.
Per chi non lo ricordasse, l’esperimento mentale di Schrödinger non solo è all’origine del problema dell’oggettivazione delle proprietà, ma toglie il sonno non solo ai fisici, visto che è un punto cruciale per capire se la fisica quantistica è una teoria completa oppure no.
Sulle pagine di Gaianews.it abbiamo parlato spesso del limbo quantistico in cui si trova il povero gatto di Schrödinger (per ulteriori approfondimenti mi permetto di rinviare a Gatti, zombie o atomi? introduzione alla fisica quantistica). Rispetto a questa versione “originaria” dell’esperimento mentale, Wigner compie una modifica sostanziale. I sistemi sono ben due: il sistema scatola, che contiene il gatto e l’apparato legato alla fiala di veleno e il sistema laboratorio a cui appartiene l’amico di Wigner. Il punto cruciale dell’esperimento mentale è nella seguente domanda: al ritorno di Wigner, lo stato del sistema laboratorio sarà di sovrapposizione tra «gatto morto/amico triste» e «gatto vivo/amico felice» e si determinerà su una delle due possibilità solo quando il fisico diventerà un osservatore, oppure Wigner troverà che la sovrapposizione è stata risolta solo a causa della presenza dell’amico?
Ma nel laboratorio c’è l’amico che, aprendo la scatola mentre quest’ultimo è lontano, svolge il ruolo di osservatore del sistema scatola e la fa collassare su uno dei due possibili (“gatto vivo” e “gatto morto”); di conseguenza, poiché l’indeterminazione dello stato del sistema laboratorio è dovuta a quella del sistema scatola, è ovvio che anche lo stato del sistema laboratorio dovrebbe collassare ben prima del ritorno di Wigner. Ecco il paradosso. L’esperimento mentale intende illustrare una convinzione: l’idea che la coscienza è necessaria per il processo di misurazione (la stessa idea è stata sviluppata nel 1932 da John von Neumann, The Mathematical Foundations of Quantum Mechanics).
Abbiamo bisogno di identificare in modo non ambiguo una linea di demarcazione tra due livelli di realtà: uno che presenta proprietà macroscopiche e oggettive, l’altro che le presenta in una sovrapposizione di stati differenti. Dove collocare allora la linea di demarcazione? Wigner fa appello al soggetto che percepisce/osserva. Naturalmente a questo punto ci si potrebbe chiedere che cosa si intende per percezione consapevole e/o cosciente. Dare un ruolo preminente al soggetto cosciente in un processo di misurazione non sembra la strada giusta da percorrere. Prima di presentare una soluzione “oggettiva” e cercare di capire con quale opzione filosofica si possa conciliare, vediamo anzitutto di chiarire come nasce il problema della consapevolezza/coscienza.
Il fatto di essere consapevoli di ciò che ci accade è qualcosa di implicito nella nostra esperienza di tutti i giorni. Al punto tale che se ci chiediamo che cos’è la consapevolezza riflessiva o la coscienza restiamo titubanti e non abbiamo una risposta che possa anche lontanamente avvicinarsi ad una definizione. La filosofia si pone da sempre domande di questo tipo, benché di filosofia della mente in senso proprio si possa parlare solo dal 1949 in poi, anno in cui fu pubblicato il capolavoro di Gilbert Ryle, The Concept of Mind.
Un accenno sulla filosofia della mente: l’eredità di Gilbert Ryle. Con l’obiettivo di mettere in scacco il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, Ryle ne mette in luce l’errore categoriale: credere che la collocazione ontologica dell’anima sia esterna all’ordine fisico. In opposizione alla tesi cartesiana secondo cui gli stati mentali privati o soggettivi sono stati di una sostanza immateriale, Ryle ha sviluppato una serie di minuziose analisi dei termini psicologici volte a presentare i fenomeni mentali come l’insieme dei modi teorico-linguistici nei quali organizziamo ed enunciamo alcuni atti o eventi della nostra vita. Dal capolavoro di Ryle è passato molto tempo e l’analisi logico-linguistica del problema anima-corpo, così cara alle correnti di stampo analitico della seconda metà del Novecento, ha ceduto il passo ai progressi della neurobiologia e dell’intelligenza artificiale, spostando il baricentro delle ricerche al problema mente-corpo, allo studio della mente nelle sue interazioni con il cervello, il corpo, il mondo.
Più radicalmente: perché il dolore è doloroso? A John Searle, Antonio Damasio, Hilary Putnam e Daniel Dennett fanno capo tre tra le principali correnti nelle teorie della mente: (i) un sostanzialismo che non cede a compromessi con la neurofisiologia (John Searle). (ii) Un riduzionismo non eliminativista della mente al suo “hardware” materiale, il cervello (Antonio Damasio). (iii) Una raffinata forma di funzionalismo che interpreta le attività mentali in analogia alle funzioni di tipo logico e computazionale – con uno sguardo alla biologia evoluzionistica in Daniel Dennett, e con uno sguardo ad Aristotele per il recupero dei concetti di forma e materia e per l’istanza antiriduzionista in Hilary Putnam.
L’intervista di gaianews.it al Prof. Michel Bitbol. Rispetto a questo ventaglio di teorie è interessante la posizione di Michel Bitbol, direttore del CNRS di Parigi: nei suoi scritti sembra che raccolga più seriamente la sfida di David Chalmers in merito al “problema difficile” – l’hard problem of consciuousness – che concerne la spiegazione degli aspetti soggettivi e qualitativi della coscienza. Dal 6 al 13 luglio 2013 il Prof. Michel Bitbol ha tenuto un ciclo di lezioni alle Vacances de l’Esprit – San Bernardo, Malè (TN). Il titolo è eloquente: “l’enigma della coscienza. Un percorso tra filosofia, neuroscienze e fisica quantistica”. Farò ora qualche riflessione a margine.
1) Coscienza e funzione d’onda. Il problema difficile sull’origine della coscienza non viene risolto dalla neurobiologia: per questo motivo alcuni studiosi si sono rivolti alla fisica ritenendo che sia più atta ad offrire risposte. In fisica quantistica per comprendere il nesso tra la coscienza e il problema della misura (esemplificato dall’esperimento mentale del gatto di Schrödinger) ci sono varie vie. Dobbiamo distinguere tra interpretazioni che accettano il dualismo nell’evoluzione dinamica della funzione d’onda e interpretazioni che lo rifiutano.
Fra le interpretazioni ‘dualistiche’ il problema della misura consiste nell’individuare il luogo in cui avviene la riduzione; a seconda di dove viene a trovarsi il confine fra i due livelli si avrà un diverso rapporto fra il sistema fisico e l’osservatore: si passa così dal livello in cui, fissate le condizioni sperimentali, la riduzione avviene nell’interazione con lo strumento (Niels Bohr), alla riduzione a causa dell’intervento dell’osservatore (John Von Neumann). Seguendo Sir. Roger Penrose, alcuni studiosi ritengono che la base fisica della coscienza sia proprio la riduzione del vettore di stato. Seguendo, come abbiamo visto, Eugen Wigner altri ritengono che la riduzione del vettore di stato avvenga a causa della coscienza, mentre in posizioni più estreme la riduzione agisce sulla sovrapposizione delle molte menti dell’osservatore (Albert-Loewer).
Il Prof. Michel Bitbol esamina queste interpretazioni con gli occhiali del filosofo facendo notare come tutte dipendano da una reificazione dell’esperienza soggettiva. Il punto è questo: in ogni contesto sperimentale non si può ignorare la presenza degli scienziati che conducono l’esperimento, soprattutto se si vuole venire a capo del problema posto dal gatto di Schrödinger (non possono rinunciarvi nemmeno l’oggettivismo insito nell’interpretazione a molti mondi di Hugh Everett III o le teorie della decoerenza). Per questo motivo Michel Bitbol ritiene vi siano molte affinità tra la filosofia della mente e la fisica quantistica, per lo meno come discipline di confine che hanno a che fare con il nostro esserci nel mondo.
La soluzione di Michel Bitbol è molto interessante sul piano metodologico e filosofico. Ho qualche riserva dal punto di vista “fisico”. La soluzione kantiana adottata da Michel Bitbol non sembra trovare una fondazione metafisica. Vorrebbe essere qualcosa in più di un monito sui nostri limiti, di una guida verso il metodo corretto; da questo punto di vista è una esortazione epistemologica convincente, una “una strategia comune per integrare il fatto irriducibile di essere situati nel sistema delle nostre conoscenze”. Se si pone come soluzione epistemologica presta ancora il fianco ai teorici à la Wigner, per lo meno finché non si definiscano in modo rigoroso concetti come “esserci nel mondo”.
2) Caso e oggettività. Un’opzione alternativa a quella di Wigner che non ricada nel soggettivismo e che fa a meno della fenomenologia husserliana come background teorico è stata elaborata nel 1985 da Gian Carlo Ghirardi, Antonio Rimini e Tullio Weber. La GRW assume che tutti i corpi dotati di massa, oltre ad obbedire alla dinamica lineare di Schrödinger, subiscano, in tempi del tutto casuali e con una frequenza media, dei processi spontanei di localizzazione spaziale. “Mentre l’evoluzione quantistica del vettore di stato è perfettamente deterministica e lineare, la riduzione del pacchetto è un processo fondamentalmente stocastico e non lineare. […] Si tenterà di modificare l’equazione di evoluzione includendo termini che descrivano possibili processi stocastici e non lineari che influenzano la funzione d’onda stessa. Questi processi dovranno inoltre tendere a rendere oggettive alcune proprietà […] secondo modalità che risultino inefficaci a livello microscopico ma efficacissime a livello macroscopico”, (Gian Carlo Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, 2009: p.363).
Si tratta di un programma di riduzione dinamica per sistemi unificati, microscopici e macroscopici. Secondo questa interpretazione esiste un processo di localizzazione spontanea ma c’è un problema: per ogni singola particella la probabilità di subire un collasso spontaneo è davvero troppo bassa. Per questo motivo assumono una certa rilevanza gli indici degli strumenti di osservazione. Gli indici dei dispositivi di misurazione sono infatti costituiti da migliaia di miliardi di particelle che si trovano ciascuna in uno stato di sovrapposizione. Se, ad esempio, il sistema osservato si trova in una sovrapposizione di due possibili stati di spin lungo l’asse z, allora anche ciascuna particella dell’indice dello strumento di misura si troverà in una sovrapposizione di due possibili stati (lancetta verso l’alto o lancetta verso il basso).
Ora, la probabilità che una delle particelle dell’indice subisca un collasso in uno stato preciso è elevata, dal momento che l’indice è formato da un numero imponente di particelle. Secondo la GRW se accade che una delle particelle dell’indice subisce un collasso spontaneo, allora tutte le particelle dell’indice dello strumento di misurazione collasseranno nello stesso identico stato (quello corrispondente a spin in sù o quello corrispondente a spin in giù).
Il postulato del collasso locale su cui si fonda la GRW non è dunque legato alla presenza di osservatori senzienti e avverrà in maniera del tutto casuale. Svincolare il collasso della funzione d’onda dal nostro sguardo sul mondo ci consente di pensare ad altre opzioni filosofiche che possano essere compatibili con questa descrizione fisica degli eventi. Più radicalmente il problema è questo: come dare una fondazione metafisica alla GRW? (Ne parleremo prossimamente).
dalla matematica quantistica a concetti filosofici il gatto è vivo ma praticamente morto.