Che il grafene sia il materiale delle meraviglie lo sentiamo dire da tempo. Le potenzialità di questi fogli impalpabili di carbonio, costituiti da un cristallo bidimensionale 200 mila volte più sottile di un capello, sono innumerevoli: ottimi conduttori di calore e di elettricità (come il rame), sono ben cento volte più resistenti dell’acciaio e, al tempo stesso, sono molto flessibili e impermeabili. Infine, anche una corrente elettrica debole può renderli magnetici; ciò significa che esiste un nuovo modo di “trasformare” l’elettricità in magnetismo.
Ma quello che aspettiamo da tempo è il passaggio dalle parole ai fatti. O, meglio, ci aspettiamo di capire qual è il settore (o i settori) di mercato che compete al grafene.
Un passo avanti in questa direzione è stato fatto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Ifn-Cnr) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), dell’Istituto di nanoscienze (Nano-Cnr) e del Politecnico di Milano, che ha presentato per la prima volta uno studio su come aumentarne l’efficienza soprattutto nei dispositivi fotovoltaici come le celle solari. In pratica si è scoperto che “bombardando” il grafene con un impulso luminoso brevissimo se ne moltiplicano a cascata gli elettroni e si genera, in questo modo, un aumento delle sue potenzialità fotovoltaiche. Lo studio, a cui hanno collaborato anche ricercatori delle Università di Cambridge e di Manchester, è stato pubblicato su Nature Communications con il titolo Ultrafast collinear scattering and carrier multiplication in graphene.
“Studiare il comportamento degli elettroni nel reticolo bidimensionale di questo materiale, che è costituito da un foglio monoatomico di atomi di carbonio, è la chiave per capirne e sfruttarne al meglio le eccezionali proprietà: conduzione di elettricità e calore migliore del rame, leggerezza e resistenza maggiori dell’acciaio. Un aspetto ancora poco noto, per esempio, è cosa accade agli elettroni dopo che un lampo intenso e ultrabreve di luce li ha fortemente perturbati: abbiamo pertanto indagato le primissime fasi successive alla fotoeccitazione, quando gli elettroni, riscaldati dalla luce a temperature di migliaia di gradi, si raffreddano in un tempo brevissimo”, spiega Marco Polini di Nano-Cnr di Pisa (l’intervista è anche riportata nel comunicato stampa di cnr.it).
Se non ho capito male, lo studio della dinamica ultraveloce degli elettroni nel grafene ha permesso di mettere in evidenza le potenzialità insite nell’effetto di moltiplicazione a cascata innescato dai fotoni. “Un fenomeno noto come ‘carrier multiplication’, grazie al quale, per ciascun fotone assorbito dal grafene, più elettroni si mettono in moto e incrementano la corrente elettrica. La possibilità di innescare questo fenomeno potrebbe migliorare le prestazioni delle tecnologie fotovoltaiche e dei dispositivi optoelettronici in termini di efficienza, robustezza, risparmio energetico”, ha precisato Marco Polini (su cnr.it).
Giulio Cerullo (Ifn-Cnr e Politecnico di Milano) ha poi aggiunto che “la moltiplicazione di carica è estremamente difficile da rilevare poiché dura appena un centinaio di femtosecondi, meno di un milionesimo di milionesimo di secondo! Per studiare effetti fisici su scale temporali così brevi servono impulsi luminosi altrettanto brevi, che siamo stati in grado di ottenere con tecniche di spettroscopia ultra-veloce capaci di ‘comprimere’ la luce. Il nostro esperimento rappresenta al momento l’evidenza sperimentale più chiara del fenomeno nel grafene”.
Nel progetto di portare il grafene dai laboratori all’industria, i ricercatori italiani di Nano-Cnr, di Ifn-Cnr e del Politecnico di Milano hanno un ruolo importante, se non altro per la partecipazione alla Graphene Flagship, il progetto europeo premiato con un ingente finanziamento (circa un miliardo di euro per i prossimi dieci anni) e che ha preso il via il primo ottobre scorso, con un coinvolgimento di oltre 70 partner scientifico/industriali. Ad oggi la situazione è questa.
Da un lato abbiamo una vera e propria tabella di marcia per i prossimi vent’anni. Mi riferisco alle idee di Andre Geim e Konstantin Novoselov. Manchester è una vera e propria culla per il grafene: entro un triennio la prima applicazione dovrebbe essere quella degli schermi flessibili. Seguiranno vari dispositivi elettronici, come processori ultra-veloci a bassa potenza e chip di memoria, nella speranza che queste innovazioni possano aiutare gli scienziati a tenere il passo con la legge di Moore (che prevede che le prestazioni dei processori raddoppino ogni 18 mesi): al momento, infatti, la miniaturizzazione dei circuiti in silicio non sta creando pochi intoppi alle aziende. Più piccoli diventano i chip, più caos si stabilisce sulle scale nanoscopiche, perché gli elettroni tendono a diventare instabili: per fortuna le caratteristiche quantomeccaniche del grafene sono una risorsa importante per uscire da questo disordine.
Dall’altro, però, questa tabella di marcia è un desideratum prettamente teorico. Come si fa impresa con il grafene? Qual è la sua nicchia di mercato? C’è, a questo proposito, una questione decisiva di cui non si parla granché. Forse perché non esistono ancora risposte certe. La metodologia di fabbricazione del grafene non è ancora così avanzata da garantirci, in breve tempo, una produzione e applicazione su larga scala. Le proposte sono molte, e questo è certamente un bene. Ed è un bene che la ricerca italiana ci sia e faccia la sua parte. Ma il problema è che, paradossalmente, l’eccessiva versatilità di questo materiale sta diventando un ostacolo. Come se potesse essere tutto e niente al tempo stesso. E qui la ricerca deve dare una mano all’impresa.
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