Gaianews

Simulare per credere: l’Universo Olografico

Scritto da Annalisa Arci il 30.12.2013

Troppo spesso si fa confusione tra principi euristici e principi teorici, tra identità matematiche e stati di cose. E’ il caso del Principio Olografico di cui si è parlato di recente su Nature.  

Secondo il Principio Olografico la fisica di un sistema tridimensionale può essere descritta da una teoria fisica che si muove solo sul confine bidimensionale del sistema in esame. Se fosse vero, la quantità di informazione contenuta nel sistema non dovrebbe essere maggiore di quella contenuta nella sua superficie. Questo significa che, dal punto di vista matematico, lo spazio può essere rappresentato come un ologramma della superficie che lo contiene. Questo ci dice la sua formulazione originaria dovuta a Gerard t’Hooft (1993).

Illustrazione artistica dell’ambiente intorno ad un buco nero. (Crediti: Markus Gann/Shutterstock).

L’idea ha avuto fortuna soprattutto grazie a Juan Martin Maldacena che ne ha derivato la corrispondenza Ads/CFT, che usa il principio olografico per mettere in relazione la microfisica delle stringhe e la geometria della relatività generale. Questa teoria funziona all’interno di un universo formato da 9 dimensioni spaziali ed una temporale, tutte intese come ologrammi, in quanto la realtà sarebbe un universo piatto dove non esiste la gravità.

La teoria delle stringhe, pur non essendo sperimentalmente verificata, è stata per molti fisici una specie di Stele di Rosetta per leggere e rendere intertraducibili matematicamente due linguaggi incompatibili: quello della relatività e quello della meccanica quantistica. Personalmente non sono d’accordo. Non solo per i motivi che Lee Smolin indica nel suo splendido libro, L’Universo senza Stringhe (Einaudi, 2006), e perché per molte delle scoperte connesse con il bosone di Higgs, che confermano sempre più la validità del Modello Standard delle particelle elementari e, forse, di una sua (pur minimale, ma possibile) estensione supersimmetrica.

New mathematical model links space-time theories

Rappresentazione di una stringa dentro un buco nero perturbato. (Crediti: University of Southampton).

Ma soprattutto perché la relatività e la meccanica quantistica sono teorie verificate, ciascuna delle quali è dotata di un assetto di principi propri. Per le stringhe non si può dire lo stesso. Che dire del principio ologafico? I due articoli,  Quantum Near Horizon Geometry of Black 0-Brane e Holographic description of quantum black hole on a computer, sono entrambi disponibili su arXiv. Nel primo si calcola l’energia interna di un buco nero, la posizione del suo orizzonte degli eventi (il confine tra il buco nero ed il resto dell’universo), la sua entropia e altre proprietà basate sulle previsioni della teoria delle stringhe, come anche l’effetto delle particelle virtuali. Nel secondo, invece, si calcola l’energia interna equivalente all’interno di un cosmo a una sola dimensione in cui le particelle quantistiche somigliano ad un gruppo di oscillatori armonici o, meglio, a molle idealizzate incollate l’una all’altra.

Il risultato? I calcoli effettuati nei rispettivi ambiti sono in accordo tra loro. Questo significa che il principio olografico è un buon strumento euristico. Già nel 1997 Maldacena aveva dimostrato che la teoria delle stringhe è equivalente a una teoria di campo quantistica formulata sul bordo di un particolare spazio-tempo, chiamato di anti-De Sitter; cambiando segno alla costante cosmologica, ossia trasformando la repulsione in attrazione, otteniamo un universo di anti-de Sitter, vuoto e simmetrico come il precedente. Ebbene, Maldacena ha dimostrato che un universo anti-de Sitter in cinque dimensioni descritto da una teoria delle stringhe è del tutto equivalente a una fisica descritta da una teoria di campo (conforme) sul bordo di questo universo, ossia nella regione quadrimensionale.

“Le scoperte rappresentano un modo interessante per calcolare molte idee nel campo della gravità quantistica e la teoria delle stringhe. L’intera sequenza di pubblicazioni degli ultimi anni prova la natura duale dell’universo in contesti in cui non esistono test analitici. Essi hanno confermato numericamente, forse per la prima volta, qualcosa che eravamo piuttosto certi fosse vero, ma che era comunque soltanto una congettura: cioè l’idea che la termodinamica di certi buchi neri possa essere riprodotta da un universo a meno dimensioni”, ha spiegato poi Leonard Susskind, fisico teorico della Stanford University, in California, che era stato tra i primi teorici ad esplorarle l’idea degli universi olografici.

Nessuno sa con esattezza cosa ci sia dentro a un buco nero, però sappiamo con ragionevole certezza che l’entropia, intesa come quantità di informazione, si trova sulla sua superficie, e con essa anche i suoi gradi di libertà. Questo ha portato i fisici a estendere tali ragionamenti a regioni cosmologiche dotate di superfici di delimitazione, cioè delimitate da una sorta di orizzonte degli eventi cosmico. Uno dei primi passi in questa direzione è stato compiuto nel 1995 da Leonard Susskind che ha elaborato l’ipotesi del vincolo olografico: per ogni sistema fisico isolato delimitato da una superficie, l’entropia ha un limite massimo pari a un quarto dell’area di questa superficie chiusa attorno al sistema diviso per il quadrato della lunghezza di Planck. Il vincolo olografico estenderebbe la formula dell’entropia dei buchi neri a tutti gli altri sistemi fisici isolati e con un bordo. La spiegazione alla base dell’ipotesi di Susskind è proprio data dal Principio Olografico. Ma un principio euristico, bisogna ricordarlo, non è un postulato men che meno un principio teorico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA