Non esistono buchi neri o, meglio, non esistono al modo in cui ce li siamo immaginati fino ad oggi. A dirlo è Stephen W. Hawking in un brevissimo articolo pubblicato on line su ArXiv, una specie di riassunto di una riunione dello scorso agosto con un gruppo di studiosi del Kavli Institute di Fisica Teorica di Santa Barbara, California.
In particolare, la riforma concettuale riguarderebbe il concetto di orizzonte degli eventi, quel confine invisibile pensato per avvolgere ogni buco nero, oltre il quale nulla, nemmeno la luce, può andare. Al suo posto esisterebbe un orizzonte apparente che, solo temporaneamente sarebbe in grado di “trattenere” materia ed energia. Insomma, i buchi neri della teoria classica hanno i giorni contati.
Non vi faccio la lezione introduttiva sui buchi neri: ne abbiamo parlato spesso sulle pagine di Gaianews.it. Vi spiego, con parole semplici, perché questa idea è interessante (se, poi, qualcuno volesse approfondire o non capisse i dettagli tecnici dell’articolo di Hawking, può sempre scrivermi).
La riforma teorica presentata sarebbe abbastanza temeraria se non fosse sulla bocca di uno dei grandi del nostro tempo. Tuttavia, se ci riflettiamo, la tesi di Hawking non è così sconvolgente. La meccanica quantistica concede alle informazioni di poter sfuggire da un buco nero, cosa impossibile nel quadro della fisica classica. Ma sappiamo bene che, pur essendoci validi tentativi di quantizzare lo spazio-tempo, non si è ancora giunti ad una perfetta integrazione della gravità con le altre forze fondamentali della natura.
Il paper di Hawking è, in sostanza, un tentativo di risolvere il noto paradosso del firewall nei buchi neri, idea che stuzzica i fisici da un po’ di anni, dopo i recenti progressi di Joseph Polchinski e colleghi. In un esperimento mentale i ricercatori del Kavli Institute si sono chiesti cosa accadrebbe ad un astronauta in caduta libera in un buco nero. L’orizzonte degli eventi è matematicamente semplice da delineare in accordo con le conseguenze della Relatività Generale di Einstein (messe in evidenza per la prima volta dall’astronomo tedesco Karl Schwarzschild in una lettera che scrisse allo stesso Einstein alla fine 1915, meno di un mese dopo la pubblicazione della teoria). I fisici hanno a lungo ipotizzato che l’astronauta, dopo aver attraversato l’orizzonte degli eventi, sarebbe andato incontro ad una morte imminente, prima tirato verso l’interno del buco nero e, immediatamente dopo, spaghettificato (nel senso letterale del termine) e poi schiacciato dalla singolarità, l’ipotetico nucleo infinitamente denso del buco nero.
Analizzando questo scenario nei dettagli, il team guidato da Polchinski è giunto ad una conclusione: le leggi della meccanica quantistica, che governano le particelle su piccola scala, cambiano completamente la situazione. La teoria quantistica impone che l’orizzonte degli eventi debba essere inteso come una regione altamente energetica, un firewall che brucerebbe il malcapitato astronauta. Peccato che questa idea non si accordi con la Relatività (le leggi della fisica dovrebbero essere uniformi in tutto l’Universo).
Ora Hawking propone una terza opzione. Per capire cosa accade al poveraccio che si trova nei pressi dell’orizzonte degli eventi non dobbiamo scegliere tra una di queste due teorie quadro – continua Hawking. Dobbiamo, invece, accettare che i buchi neri semplicemente non hanno un orizzonte degli eventi (infuocato o meno). Dal momento che gli effetti quantistici intorno al buco causano selvagge fluttuazioni dello spazio – tempo, risulta difficile pensare che realmente esista una superficie di confine che, per essere tale, dovrebbe essere stabile. Al posto dell’orizzonte degli eventi Hawking parla di un orizzonte apparente, una superficie (?) lungo la quale i fotoni restano come sospesi nel tentativo di correre via dal buco nero. Nel 1970 lo stesso Hawking aveva mostrato che i buchi neri possono ridursi lentamente vomitando la “radiazione di Hawking”; ora però lo scienziato sembra smussare un po’ le sue convinzioni passate in quanto giunge a concludere che l’assenza di orizzonti degli eventi significa che non ci sono buchi neri, nel senso che non esistono vere e proprie regioni da cui la luce non può sfuggire all’infinito (è importante accentuare qui il termine infinito, visto che regolarmente la luce non vi sfugge e, soprattutto, che il concetto di tempo non è poi così scontato nei pressi di questi giganti cosmici).
La proposta di Hawking mette sul piatto fin troppe questioni. Il paradosso del firewall è davvero risolto? Se l’orizzonte è apparente e il buco nero può dissolversi significa che, ad un certo punto della vita del buco nero, la luce e la materia possono uscirne e sfuggirgli? Leggendo l’articolo la tentazione c’è stata: ma allora, qualunque cosa può in linea di principio uscire da un buco nero? Hawking non fornisce, in questo scritto, sufficienti informazioni per rispondere a queste domande: quello che ho capito è che, quando il buco nero si riduce ad una dimensione limite, in cui gli effetti della meccanica quantistica e della gravità si combinano, è plausibile pensare che possa svanire. A quel punto, ciò che è stato inghiottito verrebbe rigettato fuori. In teoria.
Paper di riferimento (che vi consiglio di leggere):
Stephen W. Hawking, Information Preservation and Weather Forecasting for Black Holes, in ArXiv.org.
finiremo con il mandarci turisti.