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Solo ciò che è umano può essere davvero straniero. Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento

Scritto da Maria Rosa Pantè il 30.08.2010

Solo ciò che è umano può essere davvero straniero.

Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento

(Wislawa Szymborska)

Ma perché devo provare più pena per un essere umano piuttosto che per un animale?

Forse perché un essere umano è più uguale a me e allora scatta il meccanismo della difesa della propria specie (anche se non credo sia innato dato che ci sono esempi innumerevoli di madri animali che nutrono cuccioli di razza diversa dalla loro), insieme al meccanismo di identificazione, che è, secondo me, solo umano e culturale anzi culturalissimo. Intendo qui per culturale un qualcosa di diverso, non superiore, all’istinto, un qualcosa di appreso.

Di questo passo, come effettivamente accade, per via di identificazione proverò più compassione per esseri umani bianchi, europei; cristiani; proverò più attenzione per le donne, comunque per gli eterosessuali; sarò più vicina a persone di mezza età. Insomma l’identificazione sconfina nell’egocentrismo, che è fenomeno molto pericoloso, a essere onesti è in parte inevitabile, ma certo  governabile e controllabile… ad averne coscienza!

C’è poi l’eccesso opposto per cui posso mobilitare un intero quartiere per salvare un gattino in difficoltà e fare spallucce (ma dentro di me, un po’ di nascosto perché non è ancora politicamente corretto) alla notizia di un bambino rom morto. Le spallucce sarebbero forse palesi se a morire fosse un adulto… rom.

Entrare nei meandri, nei distinguo della compassione umana è molto complicato e certo non è mia intenzione, già infatti mi sto perdendo in questo labirinto, anzi dovrei dire in questi labirinti tanti quanti sono gli individui sulla terra. (E non conto gli universi paralleli di cui recentemente qui s’è scritto).

Il punto non è la complessità, secondo me, ma la coscienza, anzi l’autocoscienza, cioè avere almeno l’idea di alcuni dei meccanismi che governano le nostre pulsioni alla solidarietà o all’egoismo.

Questa autocoscienza serve a difenderci non tanto dal nemico rom (che nemico è oltretutto? Non è peggio la criminalità organizzata?), ma da chi vuole manovrarci, vuole guidare (teleguidare) le nostre emozioni, compresa la capacità di compassione, che è un grande indice di civiltà.

Oltre all’essenziale autocoscienza serve poi la conoscenza, cosa ovvia, ma non scontata, delle diverse realtà e delle persone, anzi degli individui (persone, animali, piante, esseri viventi).

Alla fine conoscere è l’essenza: conoscere sé e gli altri.

Io ad esempio che potrei dire dei Rom? Niente se non quello che si tramanda e quello che sento qua e là, istintivamente non mi piace che sfruttino i bambini per mendicare, non mi piace come trattano le donne, ma generalizzo: le situazioni anche tra di loro sono molto diverse e io conosco solo il lato più negativo. Forse chi usa i figli per mendicare è costretto o forse è solo abituato a questa crudeltà. Non potrò saperlo finché non ne parlerò con qualche rom o qualcuno che lavora con loro, anche perché chi dice che i Rom debbano giustificare a me, a noi la loro vita? (Purché rispettino la legge, ma non come quelli della cricca politica che ci guida!!!)

Ho parlato dei Rom perché da sempre diversi da noi stanziali, loro nomadi, ma potrei parlare di molti altri, di tutti gli altri che non siano bianchi, europei, cristiani ecc. ecc.

Conoscere naturalmente non vuol dire giustificare. Che potrei fare o augurare a quegli estremisti che lapidano le donne? La mia compassione ha questo limite!!!

O a quei guerriglieri che usano i bambini soldato?

O ai turisti sessuali spesso pedofili all’estero e ottimi (?) padri di famiglia nel mondo occidentale?

O a quei balordi che torturano gli animali?

O a quei piromani che assassinano gli alberi?

Mamma mia, la mia compassione vacilla di fronte a queste e a molte altre tipologie di persone.

D’altra parte l’ho sempre pensato: solo un Dio poteva farsi ammazzare anche per individui del genere!

E dunque ecco coloro verso cui provo più attenzione io. Gli indifesi: i cuccioli (anche umani); i vecchi (anche quelli che furono protervi da giovani); le donne (ma non quelle mascolinizzate); gli animali; la nostra madre terra; gli ammalati; gli innocenti, come li definisce Dostoevskij, cioè individui con problemi mentali e tutti questi di qualsiasi credo, razza, orientamento sessuale, filosofico ecc. Gli individui più indifesi, io ci sono come donna, fra un po’ come anziana. Gli altri o mi fanno orrore o, se capaci di governare la loro presunta forza e consci della loro fragilità, mi inducono stima e ammirazione.

Eppure sono sicura che quelli che avrebbero bisogno di più compassione sono proprio loro: i presunti onnipotenti, ma solo un Dio può arrivare a tanto, io no di sicuro!

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