Secondo alcuni esperti è la nuova discriminazione del nostro secolo: si tratta dell’ Ageism, cioè delle cure precluse agli anziani. per combattere questo fenomeno si è costituita una associazione internazionale chiamata Life Beyond Limits al quale partecipa come univa italiana la professoressa Valeria Santini della Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze.
L’Ageism, ad oggi un fenomeno poco conosciuto, si configura come un gigante paradosso: la popolazione sta invecchiando ma alcune cure, anche quelle oncologiche le sono precluse.
La prof.ssa Valeria Santini ha spiegato: “Ageism è l’equivalente del razzismo e sessismo. Anche i medici di famiglia a volte scoraggiano gli anziani a fare terapie e approfondimenti”
Proprio come accadde per la medicina di genere, con l’accesso negato alle donne a terapie e sperimentazioni, agli anziani sono spesso preclusi trattamenti e approfondimenti diagnostici.
Il 60% delle malattie tumorali si presenta nella terza età, eppure l’oncologia sembra uno degli ambiti in cui l’ageism trova più spazi
Le sindromi mielodisplastiche , un gruppo di malattie del sangue pre-leucemiche (quando si aggravano possono svilupparsi in leucemia acuta) che si manifestano prevalentemente dopo i 70 anni, con un’incidenza in questa fascia di età di 12 volte superiore rispetto alla popolazione più giovane, sono uno di questi esempi-
“Una revisione condotta da eCancer Medical Science , che ha valutato l’impatto dell’ageism sugli standard diagnostici e terapeutici in un totale di 26 studi, ha messo in luce che solo la metà dei pazienti di età compresa tra i 71 e gli 80 anni riceve trattamenti all’avanguardia rispetto al numero di pazienti con meno di 40 anni che ne hanno, invece, accesso. Una discriminazione che si estende anche ai protocolli sperimentali: stando ai risultati raccolti nell’indagine, chi partecipa ha almeno 10 anni in meno rispetto all’età effettiva dei pazienti affetti da tumore ematologico fornendo, di conseguenza, dati non rappresentativi e limitati” si legge in una nota di Osservatorio Malattie Rare.
In questo contesto nasce Life Beyond Limits , nata dalla collaborazione tra associazioni per la tutela dei diritti dei pazienti onco-ematologici e supportata da Celgene Corporation, vuole sensibilizzare i medici e l’opinione pubblica sulle conseguenze dell’ageism.
L’iniziativa è gestita da Comitato Direttivo di esperti nel campo delle Sindromi Mielodisplastiche (SMD). Le mielodisplasie in Europa interessano prevalentemente pazienti con età media di 70 anni, ma pochissimi sono inclusi negli studi clinici per capire l’efficacia delle terapie.
Valeria Santini, professore associato di ematologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze, è l’unica italiana nel comitato direttivo del progetto internazionale Life Beyond Limits.
“L’ageism è l’equivalente del razzismo e sessismo – spiega la professoressa Santini a Osservatorio Malattie Rare – significa fare discriminazioni sulla base dell’età. E’ un problema profondo, radicato da molti anni. I pazienti oncologici più anziani sono pazienti fragili ma la loro valutazione non si basa solo sull’età anagrafica. Escludere a priori un paziente molto anziano dalle terapie è un errore di base. Un ruolo importante dovrebbero averlo i medici di famiglia. – continua Santini – Spesso accade che il paziente ultraottantenne sia scoraggiato dal fare ulteriori terapie proprio in questa prima visita e non viene nemmeno mandato dallo specialista. A torto, perché molti di questi pazienti possono essere trattati con le terapie oggi a disposizione anche per i più giovani. Sta aumentando il numero dei pazienti ultraottantenni, ma purtroppo esistono ancora realtà ospedaliere che attuano una sorta di selezione all’ingresso.”
“E’ vero – spiega – in alcuni casi non fare la terapia è la scelta più appropriata. E’ necessaria una valutazione geriatrica che con strumenti oggettivi aiuti a capire se il paziente molto anziano potrà beneficiare da terapie, a volte aggressive, oppure no. Le comorbilità (diabete avanzato, cardiomiopatia grave, insufficienza renale) possono essere motivo di esclusione delle terapie. Non è da trascurare il declino cognitivo del paziente e la presenza della rete sociale, considerando anche se l’anziano vive da solo oppure ha famigliari o una badante che possa aiutarlo a rispettare le visite e nell’aderenza alle terapie. Questi non sono aspetti da sottovalutare perché possono influire significativamente sull’efficacia delle terapie stesse.”